"Yong yi bu yong li 用意不用力" ("Usare l'intenzione, non usare la forza") è una delle regole che contraddistinguono il tai ji quan, sicché il praticante è tanto più abile quanto più riesce ad attuare questa massima.
Già è difficile farlo negli esercizi a solo, tanto più quando si deve gestire un avversario che attacca con forza.
Ebbene, un ideale del tai ji quan è battere un avversario che usa la forza rimanendo il più possibile rilassati. Nell'individuo non allenato, questo è contro-intuitivo: quando bisogna contrastare qualcuno che ci spinge con forza, è pressoché automatico usare anche noi forza.
Ma una capacità dell'uomo rispetto ad altri animali è il raziocinio, per cui gli è possibile interporre la cognizione fra l'istinto (spingere con forza) e l'azione (spingere via l'avversario), in tal modo regolando il suo comportamento (spingere rimanendo il più possibile rilassati).
Per favorire questa trasformazione, in cui un automatismo viene modulato grazie al pensiero per poi mutarsi in un nuovo e più efficace automatismo, nelle lezioni del maestro Huang si dedica molto tempo ad esercizi in coppia nei quali un compagno nelle vesti dell'avversario spinge, e l'altro deve sfruttare la sua forza e vincerla, rimanendo il più possibile rilassato.
Come si riesca a farlo è tutta una questione di tecnica, la tecnica del tai ji quan.
Ancora di più: stupisce constatare che certe mosse dello stile non funzionano se attuate con certa tensione muscolare. Nelle arti marziali la progressione consiste anche nell'automatizzare comportamenti che prima non erano spontanei, ma lo sono diventati grazie all'addestramento.
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