Un giovane si presenta dal maestro
Huang per fare una lezione di arti marziali. Un conoscente del
maestro individua l'uomo come allievo di un altro istruttore e, per
fargli capire che lo sa, gli chiede: “Il tuo maestro è partito per
le vacanze?”, essendo tardo giugno. L'interrogato risponde
affermativamente, e a quel punto anche Huang l'ha sentito. Lungi dal
cambiare il suo atteggiamento caloroso e accogliente, egli si prodiga
anzi in una lode entusiasta dell'insegnante del giovane: “Molto
bravo!”.
Il giovane conferma deciso: “Sì, è
molto bravo!”. Da come si muove, è chiaramente un principiante
nelle arti marziali, dunque
il suo giudizio non può dipendere dalla sua perizia. Neppure sa
pronunciare correttamente il nome del suo insegnante. Ignorando la
sapienza di Cicerone quando osservava “Et iudicare difficile est
sane nisi expertum” (Marco Tullio Cicerone, Laelius de
amicitia, XVII, 62), egli manca di consapevolezza e così
transige a uno dei comandamenti più importanti delle arti marziali
cinesi: l'umiltà (qian xu 谦虚).
Busto di Cicerone
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Dopo che il conoscente resta solo col
maestro, gli chiede: “Perché gli ha detto che il suo insegnante è
bravo? Tutti i cinesi che hanno una minima idea dell'arte marziale ci
dicono il contrario”. Poi precisa: “Nella tradizione a cui sono
abituato, un allievo deve chiedere il permesso al suo mentore anche
solo per visitare un'altra scuola di arti marziali. Ancora peggio,
conosco più di un praticante [asiatico, ndr] incivile di arti
marziali che sfiderebbe a combattere il trasgressore, per il suo atto
giudicato scorretto".
Jean-Léon
Gérôme, Pollice verso (1872)
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Il maestro scuote la testa con aria
riflessiva e un po' disapprovante: “Non è affatto bene ragionare
così. Se avessi detto a quel giovane che il suo maestro non è
bravo, lui si sarebbe intristito o arrabbiato, e così avremmo minato
l'opportunità di diventare amici, fomentando invece l'avversione
(chou 仇). La
coltivazione dell'armonia e dell'amicizia fra le persone è
importantissima. Anch'io so di individui che si sentono bravi a
combattere e sfidano altre scuole, ma a furia di agire così, chi
vorrà essere loro amico? Questi discorsi pacifici li facevano già
Chen Fa Ke 陈发科 (vedi il
post
http://accademiataiji.blogspot.it/2014/12/impermeabili-allantagonismo.html)
e Hong Jun Sheng 洪均生.
Tanti allievi di quest'ultimo gli riferivano giudizi poco lusinghieri
su altri praticanti di tai ji quan, ma Hong sempre li
redarguiva per la loro scortesia.
“Fra intimi il discorso cambia. È
chiaro che non mi faccio problemi a dir una verità spiacevole ai
miei shi di 师弟
(“fratello minore” sotto lo stesso insegnante, cioè un
compagno di pratica arrivato dopo di sé nella scuola), quando voglio
correggergli tecniche errate; e loro dovrebbero essere lieti di
ascoltare le mie critiche, perché costruttive”.
Difatti la psicologia e la pedagogia
insegnano quello che un buon genitore sa: un'educazione troppo
permissiva è dannosa per i bambini. E nel gergo delle arti marziali
cinesi il maestro è detto shi fu 师父:
“insegnante e padre”.
Il conoscente di Huang lo ringrazia per
la lezione di umanità impartita; che comunque è un ragionamento
tipico del cinese mediamente civile, perché deriva dall'inveterato
confucianesimo che è alla base della loro forma mentis (xin
tai 心态); tuttavia è
raro sentirlo nel mondo delle arti marziali, perché in esso tutti,
cinesi come occidentali, parlano male di tutti.
Qualcuno può farsi infine un'altra
domanda, che viene girata al maestro: “Però sorge un dubbio etico:
in quel modo non sono sincero, quindi trasgredisco l'altro precetto
confuciano dell'onestà (cheng 誠)”.
È una questione di priorità: per
l'etica confuciana un diktat apicale è l'evitamento del
conflitto, pressoché con qualunque mezzo, anche lo stratagemma, fino
all'ipocrisia.
Del resto, lo stesso Cicerone
dichiarava: “Quanta autem vis amicitiae sit, ex hoc intellegi
maxime potest, quod ex infinita societate generis humani, quam
conciliavit ipsa natura, ita contracta res est et adducta in
angustum, ut omnis caritas aut inter duos aut inter paucos
iungeretur” (Marco Tullio Cicerone, op. cit., V, 20).