Talvolta, alla fine del ba duan jin o del wu qin xi, il maestro Huang fa sfregare i palmi delle mani fino a scaldarli e poi massaggiare la faccia. Infatti, dopo questi esercizi enegetici (qi gong) le mani sono piene di qi. Con un po' di allenamento si riesce a sentire questa energia vitale (gan jue qi 感觉气) che scorre più copiosa nelle mani. Anche gli occhi beneficiano di tale flusso, manifestando una jing shen 精神 (vitalità) più evidente.
martedì 24 maggio 2011
Huang Di Nei jing
Piove, dunque per circa mezz’ora il maestro Huang tiene una lezione orale sul Huang Di Nei jing (“Canone interno dell'Imperatore Giallo”).
Il punto ren zhong 人中 (“centro dell’uomo”) si chiama così perché lì si incontrano il meridiano du mai 督脉 (“vaso governatore”; posteriore e yang) e il meridiano ren mai 人脉 (“vaso concezione”; anteriore e yin).
Lo yang 阳 va verso l’alto, lo yin 阴 verso il basso. Quindi la disposizione dell’esagramma con lo yang (riga continua) sopra e lo yin (riga spezzata) sotto non va bene:
↑ ――
↑ ――
↑ ――
↓ ― ―
↓ ― ―
↓ ― ―
Dev’essere invertita:
↓ ― ―
↓ ― ―
↓ ― ―
↑ ――
↑ ――
↑ ――
In questo modo c’è equilibrio, e yin e yang si incontrano in mezzo tra le righe spezzate e le righe unite, spazio che corrisponde proprio al punto ren zhong; le altre corrispondenze fra ciascuna linea e parti del corpo sono:
orecchie ――
occhi ――
naso ――
ren zhong
bocca ― ―
genitali ― ―
ano ― ―
SUD
cuore
crescere
estate
EST CENTRO OVEST
fegato milza polmone
sorgere restringere
primavera autunno
NORD
rene
immagazzinare
inverno
Il sudore viene dal cuore, la saliva dal rene, le lacrime dal fegato, il muco nasale dal polmone, la bava dalla milza.
Pechino aveva una porta per ogni direzione (al nord c’erano due porte). Ogni porta era adibita a una funzione particolare: dalla porta est entravano e uscivano i funzionari (guan 官) e i carri con le merci. Dalla porta ovest venivano portati fuori dalla città i prigionieri da giustiziare col taglio della testa. A nord c’erano due porte: da un uscivano i soldati per la battaglia, che rientravano dall’altra se tornavano vincitori, altrimenti trovavano la porta chiusa.
Est = legno (mu 木)
Ovest = metallo (jin 金)
Nord = acqua (shui 水)
Sud = fuoco (huo 火)
Centro = terra (tu 土)
Se invece che dalla porta est, le merci fossero state fatte passare per venderle dalla porta sud, avrebbero indotto le persone a litigare, perché il sud è associato al fuoco.
venerdì 13 maggio 2011
Reciprocità
Una nota frase cinese è “Ni fang wo, wo fang ni. Ni da wo, wo da ni 你防我, 我防你. 你打我, 我打你”: “Tu mi difendi, io ti difendo. Tu mi colpisci, io ti colpisco”.
Riallacciandosi a essa, il maestro Huang spiega che secondo Hong Jun Sheng il tai ji quan è per la difesa, come nella vita: se vengo attaccato, mi difendo; se sei gentile con me, lo sono anch’io. “Se qualcuno sfidava il gran maestro Hong a combattere”, sottolinea l’insegnante, “lui si rifiutava e lo accomiatava”.
Il saluto
Per il saluto marziale, nella scuola del maestro Huang le braccia sono distese a metà, formando un ovale, ad altezza dell’incavo sovrasternale; i dorsi delle mani sono quasi del tutto rivolti in avanti, solo leggermente verso l’alto; la mano sinistra aperta sta davanti al pugno destro.
Carità
Il maestro Huang fa spesso elemosine ed esorta a fare altrettanto: “Basta poco, anche solo un euro o una barretta di cioccolato, ma renderà contento sia chi lo riceve, sia chi lo offre. Allora l’animo sarà in pace e potranno scomparire anche i piccoli disturbi di salute”. Una volta il maestro ha speso una cifra ingente per regalare a dei senza tetto oggetti molto utili, eppure ci tiene a specificare che il suo non è stato poi un grande gesto, proprio perché fare cose buone dà pace al suo cuore (xin an 心 安). “D’altronde Dio ha aiutato me, che ho una casa e da mangiare, perciò vuole che adesso io aiuti gli altri. Anche trasmettere il tai ji quan può essere inteso come un contributo simile, e chissà che non sia volere del Cielo che io lo insegni”.
“Non si tratta però di una questione di religiosa. È stato lo studio della cultura tradizionale cinese (chuan tong wen hua 传统文化) a insegnarmi questi valori, e a mia volta desidero trasmetterla ai miei allievi affinché loro si comportino così con gli altri”.
Da People of All Nations, edito da J.A. Hammerton |
Virtù marziale (wu de 武德)
Huang Tai Ji dà molta importanza alla cosiddetta "virtù marziale”. Il maestro ripete continuamente che nel metodo Hong di tai ji quan il busto dev’essere dritto (zhong zheng 中正). Poi aggiunge che anche la mente dev’essere zhong zheng, cioè retta; infatti zhong significa pure “onesto”. “Quindi”, conclude il maestro, “nel tai ji quan si è onesti. È molto importante essere persone rette (zuo ren 做人) e nutrire la statura morale (ren pin 人品). Per il praticante di tai ji quan, comportarsi bene significa anche non picchiare le persone, ma neppure essere impauriti e succubi di fronte agli altri. Anche questo può essere definito zhong zheng”.
Confucio (Kong Fu Zi 孔夫子), il "padre" dell'etica cinese |
Amicizia
- Un allievo telefona al maestro comunicandogli che non parteciperà alla lezione perché ha male alla schiena, così il maestro dice agli altri allievi: “Allora andremo noi a trovarlo, perché siamo amici, e in Cina si usa il guan xi 關係”, cioè la relazione con sostegno reciproco.
- Un giorno, due allievi del maestro Huang hanno un battibecco, ma lui li ammonisce: “Bisogna coltivare la tolleranza (kuai rong 寬容) e l’amorevolezza (ci ai 慈爱), evitando una mentalità rigida (gang 刚) e coltivandone una morbida (rou 柔) grazie alla quale le relazioni saranno armoniose. Ciò dev’essere scontato fra compagni di pratica”.
- Tradizione vuole che quando maestro e allievi mangiano al ristorante insieme, i secondi offrano il pasto al primo. Tuttavia al maestro Huang piace offrire cene agli amici, e siccome il rapporto coi suoi allievi è molto amichevole, più di una volta ha offerto loro la cena, spiegando che oggi le cose sono cambiate. In tali occasioni, un brindisi ricorrente del maestro è “You yi wan sui 友谊万岁!”: “Viva l’amicizia!”.
Natura
- La prima volta che il maestro Huang è stato al Parco Sempione di Milano in un giorno festivo, ha notato che, pur essendo il luogo vicino al quartiere cinese della città, i soli cinesi presenti erano quelli senza lavoro. “A me, invece, piace stare all’aperto contemplando la natura”.
Sempre al parco, un giorno scoppia un temporale. Il maestro esclama entusiasta: “Bello!”, e la lezione di tai ji quan continua finché non scende un acquazzone, addirittura grandina per qualche minuto. Allora, mentre tutti si incamminano verso un riparo, il maestro non vuole essere coperto da ombrelli, perché ama molto la pioggia.
- Una sera, al ristorante cinese coi suoi allievi, il maestro Huang chiede di usare posate di metallo invece delle bacchette, perché dice che bisogna risparmiare le piante necessarie alla fabbricazione di queste ultime. Per questo motivo ritiene sia meglio che in futuro tutti i cinesi passino all’uso delle posate lavabili.
- Un allievo del maestro Huang racconta questa esperienza: passarono da una chiesa mentre una folla di fedeli usciva dalla messa. Qualcuno aveva lasciato una lattina vuota su un corrimano della chiesa, e nessuno italiano che passava sembrava notarla, ma il maestro si è affrettato a prenderla e gettarla in un cestino.
Pietà filiale
Per il maestro Huang è molto importante anche la pietà filiale, una delle qualità fondanti della morale confuciana. Due sono le sue esortazioni ricorrenti: “Xiao jing fu mu 孝敬父母” (“Recare doni a padre e madre”) e “Bai tian, bai di, bai fu mu 拜天拜地拜父母” (“Rispettare il cielo, la terra e i genitori”).
In quest’ottica, il maestro raccomanda di lavare e poi massaggiare spesso i piedi ai propri genitori come tributo e ringraziamento (“gan xie fu mu 感谢父母”), un atto che oggi è poco diffuso nella stessa Cina. “Peccato, perché è importante, e renderà felice sia i genitori sia il figlio”. Talvolta il maestro ha espresso addirittura il desiderio di compiere questo gesto con genitori di suoi allievi.
martedì 10 maggio 2011
Esercizi fondamentali
Tutto il metodo Hong dello stile Chen di tai ji quan si basa su rotazioni che vengono allenate in esercizi fondamentali (ji ben gong 基本功), a cui si viene subito introdotti quando si comincia lo studio, e che vanno allenati cento volte al giorno per braccio la prima settimana di pratica, duecento la seconda e così via. Il maestro Huang ne faceva almeno mille al giorno.
Il primo di questi esercizi fondamentali è zheng shou quan 正手圈 (“cerchi dritti con la mano”): come dice il nome, bisogna tracciare dei cerchi con un braccio e la mano aperta a lato del corpo, dall’interno all’esterno, stando nella “posizione a cavallo” (ma bu 马步), cioè col peso ripartito equamente sui piedi; quello corrispondente alla mano che compie il cerchio è aperto a quarantacinque gradi, mentre l’altro piede è dritto. All’inizio si può adottare una ma bu stretta e alta, approfondendola man mano che l’allenamento fisico cresce.
La testa e lo sguardo sono rivolti verso il lato dove si allunga il braccio, perché è lì che si trova l’avversario immaginario.
Una parte del corpo importante per guidare il movimento sono le anche, per cui la piega iliaca (yao dang 腰襠) dalla parte della mano che compie i cerchi si rilassa (song dang 松襠: “rilassare l’inguine”) quando la mano si allontana dal corpo e si “riempie” quando la mano torna verso il corpo.
Tuttavia, mentre la mano torna indietro verso il costato, continua a esercitare una forza in avanti, che metterebbe in leva il polso dell’avversario.
Quanto alla mano, allontanandosi gira col lato del pollice verso l’interno e il dorso in su, mentre tornando indietro si gira col pollice verso l’esterno e il palmo. La prima azione si chiama li chan 里缠 (“avvolgere verso l’interno”), la seconda wei chan 外缠 (“avvolgere verso l’esterno”). Più spesso, nello stile Chen si usano i sinonimi shun chan 顺缠 e ni chan 逆缠, cioè “avvolgere dritto” e “avvolgere al contrario”.
Benché il maestro Huang dica che la mano è in atteggiamento “naturale” (zi ran 自然), le dita devono essere stese, per cui vi è in esse una certa tonicità; il pollice è quasi parallelo alle altre dita.
Avambraccio e mano attuano contemporaneamente un movimento sia di rivoluzione (gong zhuan 公轉) sia di rotazione (zi zhuan 自轉), come luna, sole e terra.
Il maestro Huang Tai Ji in zheng shou quan |
Il secondo esercizio fondamentale che si studia è fan shou quan 反手圈 (“cerchi inversi con la mano”): il braccio e la mano compiono un cerchio antiorario a lato del corpo. Poi i due esercizi si combinano: una mano compie zheng shou quan e contemporaneamente l’altra compie fan shou quan, allorché la tecnica prende il nome di shuang shou jiao cha 雙手交叉: “incrociare le due mani”. Oppure entrambe le mani fanno, sempre in contemporanea, zheng shou quan (shuang zheng shou quan 双正手圈, dove shuang significa “doppio”) o fan shou quan (shuang fan shou quan 双反手圈). Il gran maestro Hong Jun Sheng nella fase di flessione di fan shou quan Man mano che la propria abilità aumenta, i cerchi del braccio diventano sempre più piccoli: prima sono “da quan 大圈” (“cerchi grandi”), poi “xiao quan 小圈” (“cerchi piccoli”), infine “mei you quan 没有圈” (“non v’è cerchio”). Più il movimento a spirale riguarda tutto il corpo armonicamente, meno ci sarà bisogno di spostare il braccio. Anche il piano della rotazione del braccio cambia un po’, diventando meno verticale. Comunque, vale sempre la regola “kai cu bu kai guo 开促不开过”: non stendere troppo il braccio. |
Link
La scuola del maestro Li Bao Ting 李宝廷 ha sede a Zibo 淄博, nello Shandong 山东, e si chiama Zhong Guo Hong shi tai ji quan yan jiu zong hui 中國洪式太極拳 研究總會 (Associazione generale cinese di ricerca sullo stile Hong di pugilato della suprema polarità). Il maestro Huang Tai Ji 黄太极 ne è vicepresidente (sito internet: www.hstaiji.cn).
Li Bao Ting studia tai ji quan a casa dell'anziano Hong Jun Sheng |
Il simbolo della scuola
Il simbolo dell’Accademia Taiji è formato dal “diagramma della suprema polarità” (tai ji tu 太极图) attorniato da una corona di foglie d’ulivo. Unendo un emblema dell’antica civiltà cinese e un emblema occidentale di pace e fratellanza, questo simbolo rappresenta per il maestro Huang 黄 l’amicizia tra popoli d’Oriente e d’Occidente.
Secondo il maestro, il concetto di tai ji risale alla dinastia Zhou 周 (1100-221 a.C.), quando visse Wen Wang 文王, il presunto autore del testo Zhou yi 周易 (“Mutamenti degli Zhou”).
Nel tai ji tu i due “pesci” (yu 鱼) di yin 阴 e yang 阳 si oppongono (dui li 对立) e si uniscono (tong yi 统一); quando sono fermi (jing 静) si compattano (he 合), quando sono in movimento (dong 动) si separano (fen 分).
Ba duan jin
Il Ba duan jin 八段锦 (“Otto pezzi di broccato”)
Fin dalla remota antichità, i saggi della Cina hanno sviluppato una varietà di metodi psicofisici, oggi definiti qi gong 气功 (“esercizi sull’energia vitale”), con lo scopo di mantenere e incrementare la salute.
Uno dei qi gong più celebri è il Ba duan jin 八段锦, gli “Otto pezzi di broccato”, che ha una storia millenaria, frammista di verità e leggenda. Generalmente la sua invenzione è attribuita al famoso generale e patriota Yue Fei 岳飛 (1103-1142), benché altri candidati siano l’Imperatore Giallo (Huang Di 黄帝), Bodhidharma (in cinese Pu Ti Da Mo 菩提達摩, 448-536 d.C.) e l’immortale Lü Dong Bin 吕洞宾.
Nel corso dei secoli si sono andate sviluppando diverse varianti degli otto esercizi, a seconda che li utilizzassero taoisti, buddisti, terapeuti, soldati o praticanti di arti marziali.
Infatti, molte scuole di arti marziali usano ancora oggi il Ba duan jin come ottimo riscaldamento prima della lezione.
Similmente alla maggior parte degli esercizi cinesi, il Ba duan jin è strutturato in modo tale da agire sui meridiani dell’agopuntura (jing luo 经络), rilassando i muscoli (shu jin 舒筋), favorendo il flusso sanguigno (huo xue 活血), regolando l’energia vitale e il sangue (tiao li qi xue 调理气血) e promuovendo il metabolismo (cu jin xin chen dai xie 促进新陈代谢).
Oltre al palese rinvigorimento dell’apparato locomotore, i singoli esercizi offrono benefici specifici, esercitando quella che viene definita una sorta di “massaggio” sugli organi interni e sul sistema immunitario. Per questo è opportuno rispettarne la sequenza preordinata, che è:
1) Shuang shou tuo tian li san jiao 双手托天理三焦 (“sorreggendo il cielo con entrambe le mani, viene sistemato il triplice riscaldatore”)
2) Zuo you kai gong si she diao 左右開弓似射雕 (“tendere l’arco a sinistra e a destra come per colpire un avvoltoio”)
3) Tiao li pi wei bi dan ju 调理脾胃须单举 (“regolare milza e stomaco alzando un solo braccio”)
4) Wu lao qi shang xiang hou qiao 五勞七傷向后瞧 (“guardare verso dietro [per] i cinque esaurimenti e le sette disfunzioni”)
5) Yao tou bai wei qu xin huo 搖頭擺尾去心火 (“scuotendo la testa e oscillando la coda si elimina il fuoco del cuore”)
6) Shuang shou pan zu shen yao 两手攀足固肾腰 (“toccarsi i piedi con le mani rinforza i reni e i lombi”)
7) Cuan quan nu mu zeng qi li 攢拳怒目增气力 (“occhi spalancati e mani strette a pugno per aumentare la vigoria”)
8) Bei hou qi dian bai bing xiao 背后七颠百病消 (“i sette rimbalzi della colonna vertebrale fanno scomparire le cento malattie”).
Perché gli effetti salutistici possano manifestarsi, occorre praticare la sequenza almeno una volta al giorno, da aumentare a tre qualora lo scopo fosse anche terapeutico.
Il gran maestro Hong Jun Sheng
Hong Jun Sheng (17 febbraio 1907-23 gennaio 1996) nacque nella provincia cinese dell’Henan, ma si trasferì da piccolo a Pechino, dove nel 1930, per rinvigorire la salute iniziò a studiare il tai ji quan col maestro Liu Mu San, dello stile Wu.
Dopo meno di un anno, però, Liu e Hong conobbero il grande maestro Chen Fa Ke (1887-1957), che era il più abile rappresentante del suo stile di famiglia, il Chen shi tai ji quan (“pugilato della suprema polarità della famiglia Chen”). Ne divennero allievi entusiasti, e Hong Jun Sheng lo resterà per un tempo più lungo di tutti gli altri discepoli: quindici anni. In quel lungo periodo frequentò assiduamente il suo maestro, recandone poi testimonianze preziose, che raccolse nei suoi scritti. Hong, infatti, era un uomo colto e intelligente.
Nel 1944 Hong Jun Sheng si trasferì per lavoro a Jinan, nella provincia dello Shandong, ma nel 1956 passò altri quattro mesi a Pechino, per ricevere le ultime istruzioni da Chen Fa Ke e verificare ciò che aveva acquisito con lo studio del tai ji quan. Dopodiché la figlia del maestro Chen, Yu Xia, disse che quando osservava Hong praticare, le sembrava di veder in azione suo padre.
Il gran maestro Chen Fa Ke |
Da allora Hong Jun Sheng si dedicò completamente a una didattica esemplare, cercando di mostrare sempre le applicazioni marziali delle sequenze di tai ji nella scuola che aveva fondato a Jinan, e che chiamò Chen shi tai ji quan shi yong quan fa: “metodo pratico dello stile Chen di pugilato della suprema polarità”.
Per tutti quelli che l’hanno conosciuto Hong Jun Sheng si rivelò non solo un abilissimo maestro, ma anche un uomo di buon carattere: molto tranquillo, affettuoso e sincero.
Per tutti quelli che l’hanno conosciuto Hong Jun Sheng si rivelò non solo un abilissimo maestro, ma anche un uomo di buon carattere: molto tranquillo, affettuoso e sincero.
Vecchio filmato nel quale il gran maestro Hong Jun Sheng 洪均生 esegue la prima sequenza (Yi lu 一路) e la seconda (Er lu 二路) dello stile Chen di tai ji quan 陈式太极拳, con un intermezzo di tui shou 推手 ("mani che spingono").
Il “Trattato del tai ji quan”
Tai ji quan lun
“Trattato di pugilato della suprema polarità”
attribuito a Wang Zong Yue 王宗嶽
太極者, 無極而生, 動靜之機, 陰陽之母也
Tai ji zhe, wu ji er sheng, dong jing zhi ji, yin yang zhi mu ye.
La suprema polarità nasce dall’assenza di polarità, meccanismo del movimento e dell’immobilità, madre di yin e yang.
動之則分, 靜之則合
Dong zhi ze fen, jing zhi ze he.
Nel movimento c’è separazione, nell’immobilità c’è unione.
無過不及, 隨曲就伸
Wu guo bu ji, sui qu jiu shen.
Niente anticipo, niente ritardo; seguire piegato, avvicinarsi allungato.
人剛我柔謂之走, 我順人背謂之黏
Ren gang wo rou wei zhi zou, wo shun ren bei wei zhi nian.
L’avversario è duro, io morbido, questo si chiama cedere; io seguo l’avversario, questo si chiama incollarsi.
動急則急應, 動緩則緩隨
Dong ji ze ji ying, dong huan ze huan sui.
Rispondere rapidi al movimento rapido; seguire lentamente il movimento lento.
雖變化萬端, 而理唯一貫
Sui bian hua wan duan, er li wei yi guan.
Anche se ci sono molteplici cambiamenti, vale un solo principio.
由著熟而漸悟懂勁, 由懂勁而階及神明
You zhu shu er jian wu dong jing, you dong jing er jie ji shen ming.
Con l’allenamento pratico, a poco a poco si realizza la comprensione della forza; con la comprensione della forza si giunge per gradi alla chiarezza divina.
然非用力之久, 不能豁然貫通焉
Ran fei yong li zhi jiu, bu neng huo ran guan tong yan.
È perché si sbaglia per lungo tempo a usare la forza, che non si riesce ad avere una comprensione rapida immediata.
虛領頂勁, 氣沉丹田, 不偏不倚, 忽隱忽現
Xu ling ding jing, qi chen dan tian, bu pian bu yi, hu yin hu xian.
Senza tensione la forza raggiunge l’apice della testa, far scendere l’energia vitale nel campo di cinabro, non inclinato né appoggiato, improvvisamente celati, improvvisamente evidenti.
左重則左虛, 右重則右杳
Zuo zhong ze zuo xu, you zhong ze you yao.
A una densità a sinistra consegue uno svuotamento della sinistra, a una densità a destra consegue una latitanza della destra.
仰之則彌高, 俯之則彌深
Yang zhi ze mi gao, fu zhi ze mi shen.
All’insù corrisponde un flusso verso l’alto, alla discesa corrisponde un flusso in profondità.
進之則愈長, 退之則愈促
Jin zhi ze yu chang, tui zhi ze yu cu.
A un avanzamento consegue un aumento della distanza, a un arretramento consegue una diminuzione della distanza.
一羽不能加, 蠅蟲不能落
Yi yu bu neng jia, ying chong bu neng luo.
Una piuma non può aggiungersi, una mosca non può posarsi.
人不知我, 我獨知人
Ren bu zhi wo, wo du zhi ren.
L’altro non mi conosce, solo io conosco l’altro.
英雄所向無敵, 蓋皆由此而及也
Ying xiong suo xiang wu di, gai jie you ci er ji ye.
Gli eroi tendono a essere invincibili, grazie a tutto quello che è stato detto finora.
斯技旁門甚多, 雖勢有區別, 概不外壯欺弱, 慢讓快耳
Ci ji pang men shen duo, sui shi you qu bie, gai bu wai zhuang qi ruo, man rang kuai er.
Queste abilità eterodosse sono moltissime, anche se i movimenti sono diversi, in ogni caso accade sempre che il forte domina il debole, il lento cede al veloce.
有力打無力, 手慢讓手快, 是皆先天自然之能, 非關學力而有為也
You li da wu li, shou man rang shou kuai, shi jie xian tian zi ran zhi neng, fei guan xue li er you wei ye.
Il forte batte il debole, la mano lenta cede alla mano lesta, non è altro che una naturale capacità congenita, che non passa solo dall’apprendimento della forza.
察四兩撥千斤之句, 顯非力勝, 觀耄耋能禦眾之形, 快何能為
Cha si liang bo qian jin zhi gou, xian fei li sheng, guan mao die neng yu zhong zhi xing, kuai he neng wei.
Esaminando la frase “quattro once spostano mille libbre”, chiaramente il flebile vince, quando si osserva un vegliardo che è in grado di respingere molti avversari, è possibile grazie alla prontezza.
立如平準, 活似車輪
Li ru ping zhun, huo si che lun.
Diritti come una bilancia in equilibrio, mobili come una ruota.
偏沉則隨, 雙重則滯
Bian chen ze sui, shuang zhong ze zhi.
In presenza di un’inclinazione accentuata, si segue; al doppio peso consegue la stagnazione.
每見數年純功, 不能運化者, 率皆自為人制, 雙重之病未悟耳
Mei jian shu nian chun gong, bu neng yun hua zhe, shuai jie zi wei ren zhi, shuang zhong zhi bing wei wu er.
“Si vede spesso che dopo molti anni di pratica, non si riesce a effettuare mutamenti dei movimenti, sicuramente per tutti vale il fatto che non hanno capito né udito l’errore del doppio peso”.
欲避此病, 須知陰陽. 黏即是走, 走即是黏; 陰不離陽, 陽不離陰; 陰陽相濟, 方為懂勁
Yu bi ci bing, xu zhi yin yang: nian ji shi zou, zou ji shi nian; yin bu li yang; yang bu li yin; yin yang xiang ji, fang wei dong jing.
Se si vuole evitare questo difetto, bisognerebbe capire yin e yang: incollare è anche allontanarsi, allontanarsi è anche incollare; yin non è senza yang, yang non è senza yin; yin e yang si supportano a vicenda, è il modo per comprendere la forza.
懂勁後愈練愈精, 默識揣摩, 漸至從心所欲
Dong jing hou yu lian yu jing, mo shi chuai mo, jian zhi cong xin suo yu.
Con la comprensione della forza, più ci si allena, più si diventa raffinati, studiare in silenzio e lavorare sull’attenzione finché non si ottiene ciò che si vuole.
本是捨己從人, 多誤捨近求遠
Ben shi she ji cong ren, duo wu she jin qiu yuan.
La base è abbandonare se stessi e seguire l’altro; molti sbagliano cercando lontano quanto è a portata di mano.
所謂差之毫釐, 謬之千里, 學者不可不詳辨焉!
Suo wei cha zhi hao li, miu zhi qian li, xue zhe bu ke bu xiang bian yan!
Si dice che un errore dell’ampiezza di un capello può portare lontano cinquecento chilometri, lo studioso non può non comprendere chiaramente queste varie cose.
是謂論
Shi wei lun.
Questo è il senso del trattato.
Tai ji san shou
Radici salde, rami floridi
L’efficacia della flessibilità torsionale negli insegnamenti di Huang Tai Ji
di Wang Yugyal
Non pochi maestri cinesi di arti marziali, anche rinomati, insegnano queste discipline più per soldi e prestigio personale, che per amore verso di esse. È comunque un atteggiamento che rientra in due delle tendenze sociali più tipiche del popolo cinese: da una parte la spiccata vocazione commerciale, dall’altra l’importanza sviscerata, quasi ossessiva, attribuita alla “faccia” (mian zi 面子), ovvero il prestigio e la considerazione dei pari.
Le conseguenze, però, sono nefaste per la qualità della trasmissione didattica delle arti marziali e quindi per un corretta eredità di queste discipline avite.
Ecco allora che fa molto piacere conoscere invece un maestro che è pieno di voglia di insegnare, tramandare correttamente il prezioso stile che conosce, l’Hong shi tai ji quan 洪式太極拳 (“metodo Hong di pugilato della suprema polarità”), e non è mosso dalla brama di soldi o prestigio, ma solo da grande passione per la sua arte e da una stima accorata per l’insegnante che gliel’ha trasmessa: il sempre più rinomato Li Bao Ting 李寶廷, del quale è stato il quinto discepolo su oltre cinquanta a essere accolto con la cerimonia di iniziazione bai shi 拜師1.
Si chiama voglia di condividere, di dividere con altri i benefici che egli ha tratto dalla pratica. Si chiama dunque generosità. Sì, direi che Huang Tai Ji 黃太極 è un uomo generoso, oltre che onesto.
“Il tai ji quan è un universo che esprime pienamente la profondità della vetusta cultura cinese; è un viaggio alla scoperta della verità delle cose che dura tutta la vita. Che durerà tutta la mia vita”, racconta con fervore. Gli sembra impossibile che una persona non si innamori del tai ji, una volta entrata in contatto con esso. Il suo desiderio è far conoscere anche agli italiani questa creazione mirabile della cultura cinese che fa innamorare di sé la gente. È quanto spiega agli anziani genitori (peraltro dediti anch’essi al tai ji ogni mattina) e alla moglie, quando lo esortano a tornare in Cina, dove un lavoro remunerativo per lui c’è.
A volte Huang è stanco, perché insegna da ore dopo aver terminato il lavoro quotidiano di giornalista; eppure, se qualcuno gli chiede a che ora finirà la lezione, la sua risposta è disarmante: “Se ti fa piacere imparare, sono contento di rimanere ancora un po’”.
Ma al di là delle qualità umane, il tai ji quan è già diffusissimo nel mondo, che bisogno c’è di un suo ennesimo divulgatore? “Una strada senza ostacoli è probabile non porti a nulla”, recita un proverbio, mentre un altro insegna che “Le onde non arriverebbero così in alto senza gli scogli”. Il tai ji quan si è diffuso tanto perché è stato privato arbitrariamente di scogli e ostacoli. Invece si tratta di una disciplina estremamente difficile da padroneggiare, dacché richiede una trasformazione e un uso profondi del corpo. Se infatti tutte le arti marziali cinesi attuano meticolosamente le regole della biomeccanica2, il tai ji quan ottimizza questa pragmatica, e la scuola Hong la porta a raffinatezza estrema.
È chiaro che cambiamenti tanto massicci si ottengono solo con una dedizione lunga e laboriosa, cioè con quello che i cinesi chiamano gong fu, la stessa parola che è entrata nel linguaggio comune per definire i loro sistemi tradizionali di combattimento.
Questa verità l’hanno capita in molti; tuttavia restano pochissimi coloro i quali, al di là dei vari millantamenti, sono in grado di raggiungere un livello alto nell’arte marziale del tai ji quan. Sedicenti esperti ne hanno tentata di ogni, compreso l’errore altrettanto grosso e snaturante che consiste nel cercare di proporre questo sistema con prassi e concetti didattici occidentali, magari ammantati di scientismo.
Benché la soluzione del problema rimanga una sola - trovare un bravo maestro e allenarsi duramente sotto il suo occhio vigile per molti anni -, anche la storia contemporanea ha visto all’opera dei geni rari in grado di trovare mezzi d’insegnamento più efficaci. Uno di loro si chiamava Hong Jun Sheng 洪均生 (1907-1996), e la scuola di tai ji quan che ha fondato reca già nel nome quello che è il suo scopo primario: “metodo di pugilato pratico dello stile Chen di tai ji quan” (Chen shi tai ji quan shi yong quan fa 陳式太極拳實用拳法).
Si può obiettare che un titolo del genere sembra pleonastico, dal momento che il gong fu non può che essere pratico; invece l’acuto Hong vedeva che già al suo tempo questa qualità in molti casi mancava. Eppure non aveva inventato niente di nuovo: “Ho studiato il tai ji quan col maestro Chen Fa Ke 陈发科 dal 1930 al 1944, quando mi sono trasferito nella città di Jinan 济南, nella provincia dello Shandong 山东. Nel 1956 arrivai di nuovo a Beijing 北京 e cercai l’istruzione del maestro Chen. Lui mi disse che nella sequenza del tai ji quan non c’era un solo movimento ‘vuoto’, che tutti avevano applicazioni pratiche. Ogni giorno sceglieva un movimento della sequenza, spiegandoli uno per uno, ed entrambi provavamo i movimenti sull’altro. Lui discuteva non solo l’applicazione (yong fa 用法), ma anche la contromossa (jie fa 解法3)”, racconta Hong nel suo articolo “Principi e metodi scientifici dello stile Chen di pugilato della suprema polarità”.
Per lui che era lo studente con l’apprendistato più lungo del famoso Chen (1887-1957), doveva essere triste constatare il degrado in cui versava la sua amata disciplina. Pensò allora di trasmettere fedelmente quello che aveva imparato da tale precettore, ma anche di usare la sua spiccata intelligenza e la sua profonda cultura per escogitare una modalità d’insegnamento massimamente fruttifera: ogni studente, fin dal primo giorno di lezione, deve comprendere lo scopo della singola tecnica, sperimentarlo fattivamente mettendolo alla prova. Hong Jun Sheng conosceva la raccomandazione contenuta nell’illuminante “Canzone delle tredici posture” attribuita a Wang Zong Yue 王宗嶽: “Se non cercate attentamente il significato, sprecherete solo sforzi e sospirerete”. Come la stella polare che brilla in cielo guidando i marinai, il fine di un movimento deve indirizzare il praticante nella sua azione corretta.
Hong si convinse che per formare dei lottatori di tai ji quan, l’insegnamento doveva ritornare ai tempi in cui nella pratica non erano divisi fa 法 e gong 功, vale a dire lo studio delle tecniche – in primo luogo contenute nelle sequenze lunghe (lu 路) – e la loro messa in atto nel condizionamento del corpo a usarle.
Il risultato è una spiccata vocazione del metodo all’efficienza in combattimento, con gli esperti formati in esso che riportano l’antico stile Chen alle glorie del passato.
A un occhio inesperto, tuttavia, le applicazioni con cui vengono continuamente messe alla prova in coppia le tecniche del tai ji quan Chen possono sembrare fantasiose, ma bisogna capire che si tratta per l’appunto di test fisici. L’esempio più evidente sono le molte leve articolari provate e riprovate in questi esercizi: perché riescano alla perfezione, occorre saper emettere una forza a spirale (luo xuan 螺旋) che sta alla base della potenza del tai ji quan, fino a diventarne l’essenza. Padroneggiata quella, i colpi saranno devastanti, e penetreranno nei tessuti.
La modalità d’elezione per sviluppare questo tipo di forza assai raffinata (jin 勁) è la pratica continua di esercizi fondamentali (ji ben gong 基本功) poi inseriti nelle sequenze dello stile Chen di tai ji quan. Questo è il crogiuolo nel quale viene molato il corpo del praticante, sino a farne il prototipo ottimale del combattente, sano e vigoroso. L’allievo continua a eseguire movimenti lenti e continui lungo traiettorie circolari, e un giorno si trova come d’incanto a sprigionare un’eccezionale forza rapida, impulsiva. È un processo che ha qualcosa di magico e senz’altro meravigliante, come un’illuminazione subitanea (wu 悟) durante la meditazione, una guarigione inaspettata dopo laboriosa terapia o una soluzione a lungo ricercata che balena improvvisamente dal subconscio.
Comunque, nel metodo Hong non si bada molto a distinguere artificiosamente le tattiche di lotta e di percussione, e questo non fa che testimoniare la vetustà dello stile Chen, perché al tempo in cui fu creato, i guerrieri si affrontavano sui campi di battaglia rivestiti di armature poco minacciate dai generici colpi a mani nude.
A questo punto l’iter di ascesa dei nebulosi picchi del tai ji quan non è certo finito: i movimenti diventano sempre più piccoli man mano che si riesce a integrare l’azione coordinata e armonica di tutto il corpo, col risultato ultimo di un grande effetto con un piccolo sforzo. Il maestro Huang esprime il concetto tramite l’esortazione classica “Si liang bo qian jin 四兩撥千斤”: “Quattro once spostano mille libbre”4.
Questo è un altro valore aggiunto della scuola Hong: assenza di stucchevoli movimenti fioriti che si vedono talvolta in esponenti dello stile Chen, lasciando presente solo l’essenza; la roccia viene scolpita fino a estrarne la statua del guerriero ideale. Se si vedono Hong Jun Sheng, Li Bao Ting, Huang Tai Ji eseguire il lu, può sembrare scarno; in realtà è colmo di funzionali meccaniche interne (da cui l’etichetta di “famiglia interna”, nei jia 内家, per quei sistemi di arti marziali cinesi di cui il tai ji quan è il più famoso) e per questo meno visibili.
Allo stesso modo, Huang sembra muovere appena il braccio, eppure la sua cavia umana vola indietro con la sensazione che un duro colpo le sia penetrato nell’addome e abbia trafitto le viscere fino a esplodere contro le vertebre. Narra egli che in vecchiaia Hong Jun Sheng stava seduto e invitava le persone ad afferrargli i polsi, dopodiché li scagliava indietro con un movimento infinitesimale dell’avambraccio. Per farlo, doveva possedere una sensibilità spiccatissima nei confronti dei vettori che gli altri cercavano di applicare al suo corpo; nel gergo cinese si definisce ting jin 聽勁, “ascoltare la forza”5, una delle capacità più essenziali delle strategie combattive del tai ji quan: Hong sosteneva perfino che, diversamente da altri stili, nel “pugilato della suprema polarità” questa percezione delle forze era più importante della loro emissione. Il maestro Huang parla di tiao jian fan she 條件反射, “riflessi condizionati”, a un livello altissimo. Come di altri grandi esperti di arti marziali, si racconta addirittura che Hong riuscisse a percepire l’avvicinarsi di qualcuno pur senza vederlo o udirlo.
Il corpo umano è un sistema fisico, e in quanto tale è sottoposto a una serie di forze, interne a sé o esercitate dall’ambiente; si pensi per esempio all’influsso della gravità che ci accompagna sempre. Il praticante di arti marziali deve imparare a percepire e a gestire sottilmente tali forze, che nell’arte marziale comprendono ovviamente le iniziative dell’avversario. Confrontarsi anche con questi impulsi fino ad avere la meglio su di essi è il passo successivo del programma di studi che il combattente segue.
L’abilità del gong significa infatti un’agevole sottomissione dell’opponente alla propria volontà. Per farlo, l’esperto usa appunto il tatto6 per sentire la direzione, il verso e l’intensità della forza altrui, la “comprende” (dong 懂), la neutralizza (hua 化)7 e invia (fa 发) la propria nell’avversario, esprimendola attraverso le varie tecniche delle arti marziali. Agendo sulle due componenti di una forza, il praticante ne sposta il punto di applicazione (li dian 力點), seguendo il vecchio precetto “Yin jin luo kong 因進落空”: “Indurre ad avanzare e guidare nel vuoto” (il complemento oggetto sottinteso è l’avversario). Poi si indirizza l’energia globale e coordinata (jin 勁) del proprio corpo verso il centro di massa (zhong xin 重心) dell’avversario.
Huang Tai Ji, che conosce bene i principi della dinamica, usa spesso il composto hua jie 化解, quando spiega questo trasferimento di energia da un sistema a un altro, ovvero un lavoro, che è esattamente il significato della parola cinese gong in fisica. Chi è più bravo in questo lavoro, vince.
Per spiegare concetti tanto fondamentali, il maestro è prodigo di consigli desunti dalla saggezza levantina o entrati nella teoria storica del tai ji quan: “Per spostare il punto d’applicazione della forza avversaria, ruoto (zhuan 轉) come una palla sul mio asse orizzontale e verticale, radicato come una bambolina bu dao weng 不倒翁8. Aderisci, collegati, resta in contatto, segui l’avversario (zhan 粘, lian 连, nian 黏, sui 随) e ‘Spingi la barca assecondando la corrente’9, sicché quando uno si muove, l’altro risponda in accordo”10.
Grazie alla sua esemplare sapienza, Hong Jun Sheng scrive ancora nell’articolo succitato: “Dal punto di vista del combattimento, siccome una rotazione può essere cambiata facilmente, a qualunque parte del mio corpo l’energia dell’aggressore si avvicini, posso girare leggermente nel suo stesso verso – facilitando la neutralizzazione e l’allontanamento dell’attacco da me. È questo l’yin jin luo kong richiesto dal tai ji quan. Quando girate, poiché vi muovete sfericamente, anche se questa metà del cerchio serve a neutralizzare, l’altra metà interviene col prosieguo della rotazione – formando naturalmente un cerchio che è metà neutralizzazione morbida e metà emissione dura di potenza. Se il moto [dell’aggressore] è lento, potete ruotare di un quarto di cerchio e raggiungere facilmente il risultato [di neutralizzare l’attacco]. Quando la vostra abilità è maggiore e la velocità del movimento più alta, potete compiere una rotazione lievissima e ottenere l’effetto di neutralizzare e colpire allo stesso tempo. Quindi il tai ji quan richiede che si passi da cerchi grandi a cerchi piccoli e da cerchi piccoli a nessun cerchio [evidente]. Cerchi grandi e cerchi piccoli sono la rotazione del vostro asse verticale [il rachide] coordinata con la rotazione [degli arti] a sinistra e a destra, in avanti e indietro”.
Se si vuole ottimizzare cotanto lavoro, e dunque il gong per risolvere il combattimento, bisogna condizionare tutte le diciotto articolazioni per poterne usufruire al meglio, in quanto rappresentano la chiave di volta, i punti focali per determinare l’abilità del praticante. Bisogna allinearle e coordinarle perfettamente, in modo che la catena cinetica consenta un movimento fluido dell’energia attraverso la struttura corporea.
Le articolazioni devono acquisire inoltre una capacità superiore di “aprirsi” e ruotare lungo vari piani, anche in direzioni opposte tra loro. L’allenamento – a partire da quello più basilare, lo zhan zhuang 站桩 – “mola” di continuo le articolazioni inducendole alternativamente a estendersi e compattarsi con gradi di tensione diversi, ma pressoché sempre con moto circolare e momento torcente.
Talvolta sono piccoli aggiustamenti, come nel caso dell’anca (kua 胯) e della cintura pelvica (yao dang 腰裆), centrali per la trasmissione della forza (tra l’altro facendola scorrere attraverso il corpo dalla terra o scaricandola in essa).
Grazie a questi esercizi in uno stato di rilassamento (da intendersi come l’uso minore possibile di forza per una determinata postura o mossa), si impara a localizzare sottili spostamenti articolari e attività muscolari trasformando tale percezione in abilità e vissuti motori automatizzati. Si dispongono le articolazioni in angoli che variano a seconda degli stimoli, favorendo il consueto progetto di adattamento.
Un’efficace modalità d’uso delle articolazioni inventata dai cinesi ha il soprannome di chan si jin 纏絲勁, una forza coordinata che muove tutto il corpo secondo spirali, da cui il paragone con l’avvolgere una matassa di seta (chan si): è un’allegoria letteraria degna tuttavia del mondo contadino, perché cita il movimento continuo e fluido attraverso il quale si fila la seta svolgendola con una trazione da un bozzolo senza spezzarla.
Il termine si è diffuso quando lo nominò Chen Xin 陳鑫, rappresentante della sedicesima generazione dello stile di tai ji quan che porta il nome della sua famiglia, nel suo libro del 1933 Chen shi tai ji quan tu shuo 陳式太極拳圖說 (“Spiegazione illustrata dello stile Chen di pugilato della suprema polarità”).
Per Huang Tai Ji, il moto a spirale (luo xuan yun dong 螺旋运动) va considerato “il principio più rilevante. Si manifesta coi distretti anatomici coinvolti che ruotano sul proprio asse e contemporaneamente descrivono un arco nello spazio. È proprio come la rivoluzione (gong zhuan 公轉) e la rotazione (zi zhuan 自轉) della Terra su se stessa e intorno al Sole; quindi rappresenta per l’uomo un microcosmo all’interno del macrocosmo”. Anche in questo, egli prosegue la linea dello stesso Chen Xin, che scrive: “Il pugilato della suprema polarità è il metodo dell’avvolgere la seta. […] La forza avvolgente (chan jin) è su tutto il corpo”.
Lo stesso Hong Jun Sheng sosteneva che “il tai ji quan è peng 掤”11, e che il vero peng si ottiene con rotazioni lungo una traiettoria spiraliforme bidimensionale cui partecipa tutto il corpo.
L’energia a spirale, il cui vantaggio è la combinazione di una forza rotatoria con una diretta, serve a eludere o controllare un impulso in arrivo senza scontrarsi frontalmente con esso; al contrario, come illustrato sopra, si entra morbidamente in contatto con esso e lo si dissipa, re-indirizzando il moto dell’avversario a proprio vantaggio; il tutto grazie a un effetto penetrante nel suo corpo, che è lo stesso potere distruttivo dei colpi del tai ji Chen.
Hong modificò perfino la direzione dello sguardo nell’esecuzione delle sequenze dello stile a vantaggio di una forza torsionale maggiore: non più focalizzato sulla mano, bensì sull’avversario.
Parallelamente si otteneva anche un corpo più bilanciato, supportando un altro fattore imprescindibile: il mantenimento della linea di gravità corporea verticale (zhong ding 中定) e quindi del tronco eretto (zhong zheng 中正) in ogni circostanza, con movimenti di rotazione orizzontale intorno al perno del rachide per un massimo di quarantacinque gradi (oltre, favorirebbe un rischioso sbilanciamento).
La frase che, secondo il maestro Hong, usava Chen Fa Ke era: “Bu pian bu yi 不偏不倚”, un’espressione che indica l’imparzialità, ma che tradotta letteralmente significa “Né inclinato, né appoggiato”. In tal modo, l’affondamento del peso lungo la linea di gravità permette di mantenere meglio l’equilibrio nelle tecniche di lotta.
Per la stessa ragione, è necessario evitare quello che nel tai ji quan è noto come “doppio peso” (shuang zhong 雙重), che qui significa non far gravare rigidamente la massa della parte alta del corpo e la massa di quella bassa sullo stesso lato. Lo prescrive anche una regola dello stile: “Quando il peso è a sinistra, la [mano] sinistra è vuota; quando il peso è a destra, la [mano] destra scompare” (“Zuo zhong ze zuo xu; you zhong ze you yao 左重则左虚右重则右?”). Gli spostamenti dei piedi si effettuano soltanto dopo che si è capito dov’è diretta l’energia dell’avversario e quindi si sa come sfruttarla.
Per tutto questo addestramento complicato, il tai ji quan offre didattiche particolarmente interessanti, prima fra tutte il cosiddetto tui shou 推手 (“mani che spingono”), che nella scuola Hong comprende ben quarantacinque forme (shi 式). Qui, due compagni di allenamento confrontano in modo costruttivo e non cruento le reciproche capacità acquisite con gli esercizi a solo, applicando i propri stimoli al sistema altrui. Un esperto di tai ji può sballottare un opponente senza fargli male, benché la sua spinta potrebbe ben ferirlo.
Soprattutto, nella scuola in discussione l’insegnante passa molto tempo a praticare tui shou con l’allievo, come spiega Li Bao Ting nel suo corposo volume Hong shi tai ji quan 洪式太極拳: “Insieme a un bravo insegnante bisogna sperimentare e mettere alla prova le forze attraverso le mani che spingono. Il maestro esercita forza e crea le condizioni per permetterti di imparare attraverso la pratica ad assorbirla e trasformarla, sicché ti nutri di essa e la digerisci facendola tua (jiao wei jin 叫喂勁). Poi bisogna fare molti altri test insieme ai compagni di corso, ‘fratelli’ maggiori e minori (shi xiong di 师兄弟)12. Progressivamente si acquisisce la capacità di comprendere l’applicazione (yun yong 运用) delle forze del tai ji (tai ji jin 太极劲). […] Col potere di rispondere a qualunque cosa fa l’avversario nelle mani che spingono, tutto il corpo è come il pugno (zhuo shen shi quan 周身是拳) […], finché non si automatizza il movimento spiraliforme di livello eccelso, che è una forza nascosta all’interno. Sebbene il diktat sia fare in modo di non essere sconfitti, bisogna anche evitare di ferire l’avversario”.
Ebbene, la maggior parte delle scuole di tai ji quan si ferma proprio qui, dove invece la scuola Hong comincia a divertirsi: per essa, infatti, riveste grande importanza il san shou 散手 (letteralmente “mani sciolte”), l’applicazione libera delle singole tecniche di combattimento, che permette di raggiungere un livello superiore di reattività spontanea nelle risposte alle minacce avversarie.
Ancora una volta, questo è dunque un settore che viene allenato moltissimo, ed è qui che emergono in tutto il loro realismo le caratteristiche salienti del tai ji quan, ricordate da Huang stesso: “Sconfiggere la rigidità con la flessibilità, portare la calma nell’azione, annullare attacchi diretti usando movimenti circolari, fino a consentire al debole di vincere il forte”. Ciò giungerà, insieme alla vera maestria, come il primo raggio di sole che penetra l’oscurità di una gelida notte, come una testa di neonato che emerge al mondo dopo i travagli del parto. Allora non ci saranno più tecniche ben delineate, ma basteranno piccoli gesti pressoché subconsci e l’attaccante sarà scagliato in aria.
Certo non servirebbe a molto saper difendersi da minacce esterne quando la propria incolumità è aggredita da nemici interni, per cui il maestro Huang conclude specificando: “Il tai ji quan segue i principi della scienza medica, e agendo sui canali energetici dell’agopuntura, previene e cura varie patologie. Rinforza la costituzione fisica, riequilibra l’energia corporea, il sangue, le componenti nutrizionali e gli organi interni, irrobustisce i muscoli, i tendini e le ossa. Effetti benefici, finanche terapeutici, della pratica si sono riscontrati in caso di ipertensione e disturbi cardiaci, epatiti, artrite e artrosi, diabete, disturbi gastro-intestinali, dolori cervicali e lombari, nevrastenia. In più, l’allenamento del tai ji quan rafforza il carattere, esercita un’influenza positiva sulle emozioni e conferisce tranquillità, portando a sviluppare virtù morali e un comportamento retto. Per questo il tai ji quan non è solo uno stile di arti marziali, ma anche una via filosofica, una forma mentis”.
Già, con una presentazione del genere sembra difficile non innamorarsi del tai ji quan. Ma poiché si tratta di un amore esigente, chissà quanti saranno all’altezza degli insegnamenti del maestro Huang, che hanno già avuto successo tra i suoi conterranei. Molti suoi estimatori frequentano la comunità cattolica cinese di Milano, che l’ha coinvolto nelle sue numerose e meritorie opere di volontariato. Che meraviglia: un cinese che insegna a cinesi in Italia, ma che, al contrario di molti suoi connazionali più ignoranti, non è sfiorato dalla benché minima idea razzista e ha voglia di tenere lezioni agli europei.
1 Letteralmente “inchinarsi al maestro”.
2 La scienza che si occupa del comportamento di un corpo vivente quando sottoposto a forze.
4 Un jin corrisponde a mezzo chilo, e poiché il numerale qian può indicare genericamente una grande quantità, l’espressione “qian jin” 千斤 significa pure qualcosa di molto pesante. Questa è la traduzione usuale, ma altri documenti, come il classico Da shou ge (“Canto delle mani che colpiscono”), riportano un ideogramma diverso: il jin 金 che significa “oro” al posto di quello che significa “libbra”. Se aggiungiamo che liang indica, oltre all’unità di peso, la valuta d’argento nota come tael, la frase può essere tradotta con “Quattro tael spostano grandi somme d’oro”; una perifrasi che nel linguaggio dei mercanti cinesi poteva indicare la circonvenzione con cui si compra a poco prezzo per rivendere a molto.
5 Il vocabolo cinese usato, ting, è una sinestesia, poiché indica l’attività uditiva in luogo di quella tattile.
6 Soprattutto delle mani, ma anche di altre zone del corpo, avvantaggiate dalla presenza di neuroni C.
7 Hua ha anche il significato di “trasformare”, e in questo senso è accompagnato dall’“afferrare” (na) la forza altrui per sfruttarla a proprio favore. Lo descrive poeticamente il Tai ji quan lun (“Trattato sul pugilato della suprema polarità”), anch’esso attribuito a Wang Zong Yue: il corpo è tanto sensibile che perfino una piuma sarà avvertita, è tanto adattabile che una mosca non può decollare da esso senza indurlo al moto.
8 La bu dao weng, cioè “il vecchio che non cade”, è un pupazzo che avendo il baricentro alla base e il resto cavo, non si rovescia, ma si inclina sotto la spinta e poi torna dritto.
9 “Shun shui tui zhou 顺水推舟” è un proverbio, che veicola l’idea di sfruttare un’opportunità per raggiungere il proprio scopo. Già nei più vetusti manuali di strategia bellica (bing fa 兵法) come il Sun Zi viene sottolineata l’importanza di “cogliere l’opportunità e il vantaggio tattico (“de ji de shi 得機得適”).
11 Fin dai tempi antichi, le forze basilari del tai ji quan sono raggruppate in otto tipologie d’azione, dette ba fa 八法 (“otto tecniche”) o ba men 八門 (“otto porte”): peng 掤, lü 按, ji 挤, an 按, cai 采, lie 裂, zhou 肘, kao 靠. La più importante e ovunque soggiacente è la prima, che il maestro Huang rende con “sorreggere”.
12 Si definiscono così, ricalcando la struttura familiare, i compagni di pratica più o meno esperti.
Pubblicato sulla rivista Samurai del giugno 2010
Per gentile concessione dell’autore
Copyright © Wang Yugyal
Il san shou del maestro Li Bao Ting
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