Il divin pestello
Il metodo Hong spiega jin gang dao dui
di Wang Yugyal
(il maestro Huang Tai Ji applica jin gang dao dui)
Probabilmente la tecnica più caratteristica dello stile Chen 陳 di tai ji quan 太極拳 (“pugilato della suprema polarità”) è jin gang dao dui 金刚捣碓: “il guardiano buddista batte col pestello”.
Con essa iniziano e finiscono le due sequenze a mani nude di questo metodo. Nella prima, il movimento ricorre quattro volte, come quattro sono tali guerrieri protettori del buddismo; nella seconda, tre volte.
Jin gang dao dui è un nome figurativo per descrivere il movimento, desunto da metafore contadine alla pari di altri: il dui è un tipo di maglio usato per battere in particolare il riso.
Con jin gang (in sanscrito vajracchedika), nell’iconografia del primo buddismo s’intende un personaggio mitologico che è un guerriero assistente di Buddha, cavaliere protettore dalle doti soprannaturali. Nei templi di questa dottrina si trovano statue bronzee di simili figure dalle fattezze temibili a difesa per l’appunto di una divinità.
Jin gang è anche il titolo attribuito nel consorzio buddista a un “individuo che ha travalicato i limiti della morte” (bu si de ren 不死的人), l’equivalente del cosiddetto “uomo di ferro” (tie han 铁汉) taoista.
Jin gang dao dui è così distintiva che a Chenjiagou 陳家沟 (il toponimo significa “Avvallamento della famiglia Chen”), il borgo nella contea di Wenxian dell’Henan 河南 dove nacque lo stile, si dice: “Per sapere se una persona è abile o no, bisogna guardare il grande battito col pestello del guardiano buddista (Yao zhi hui bu hui, kan kan jin gang da dao dui)”. Anche il gran maestro Hong Jun Sheng (1907-1996), discepolo del famoso Chen Fa Ke 陈发科 (1887-1957), ne sottolinea l’importanza cardinale: “Il guardiano buddista batte col pestello è la tecnica madre, bisogna senza dubbio allenarla bene (Jin gang dao dui shi mu shi, yi ding yao lian hao 金剛搗堆是母式, 一定要練好)”.
Che Hong, fedele alla sua parola, fosse un grande esperto di jin gang dao dui lo dimostra un episodio da lui stesso narrato: all’estremità di un locale lungo “come tre stanze da letto”, egli stava provando delle applicazioni di tai ji con un allievo già praticante di xing yi quan 形意拳 (“pugilato della forma e dell’intenzione”), che lanciava colpi poderosi. La moglie del maestro era accucciata al centro dello spazio intenta in lavori di casa. Quando l’allievo attaccò con un pugno destro, Hong usò proprio jin gang dao dui: ne intercettò il polso con la mano destra controllandogli il gomito con la sinistra, e in men che non si dica scagliò il tapino al di sopra della donna, facendolo cadere a cinque o sei metri da lui; aveva sfruttato la potenza stessa dell’avversario. Da allora, la dama Hong pensò bene di allontanarsi ogni qualvolta vedeva l’amato sposo dedicarsi ad allenamenti in coppia.
Oggi, in Italia, il maestro Huang Tai Ji mostra con perizia quella stessa applicazione, grazie alla sua linea di trasmissione diretta da Hong Jun Sheng, attraverso il suo insegnante Li Bao Ting.
Siccome un viaggio di mille miglia non inizia col primo passo, ma col rivolgersi nella direzione giusta, la postura preparatoria (yu bei shi 预备式) è forse la più importante. Perciò, quando l’allievo non ha ancora cominciato a muoversi, il maestro Huang passa del tempo a indicargli i requisiti psicofisici dell’esercizio: rivolgendosi a nord (yan xiang zheng bei 眼向正北), si entra in uno stato di calma (ping xin jing qi 平心静气, che alla lettera significa “mente in pace ed energia vitale tranquilla”), si rilassa tutto il corpo (zhou shen fang song 周身放松) e si guarda dritto in avanti (yan ping shi zheng qian fang 眼平视正前方).
Dopodiché può iniziare jin gang dao dui, in posizione a cavallo stretta (xiao ma bu 小马步), ovvero coi piedi alla distanza delle spalle. Contemporaneamente si sollevano le mani davanti al busto, la destra compiendo li chan 里缠 (“avvolgimento interno”) e la sinistra wai chan 外缠 (“avvolgimento esterno”), corrispondenti il primo alla supinazione e il secondo alla pronazione dell’avambraccio (foto 1). Questi due atti sono la base della forza spiraliforme (luo xuan 螺旋, altrimenti detta chan fa 缠法: “tecnica dell’avvolgimento”) che permea tutta l’arte marziale dei Chen, costituendone la caratteristica dinamica principale e per questo evidenziandosi particolarmente nella scuola Hong.
Nell’articolo “Principi e metodi scientifici dello stile Chen di tai ji quan”, lo stesso Hong Jun Sheng scrive: “Nel primo movimento della forma jin gang dao dui […] l’obiettivo dell’applicazione è intercettare e respingere il braccio dell’avversario che attacca di fronte, anche questo è un aspetto unitario. L’armonia di forza interna e applicazione pratica si manifesta così: la mano destra avvolge verso l’interno mentre intercetta e respinge il polso dell’attaccante, la mano sinistra avvolge verso l’esterno mentre si muove fino al contatto sopra l’apice del suo gomito. L’avvolgimento della mano sinistra e destra è opposto, ma sono uniti nel respingere e nell’operare insieme. Tutte le mosse dell’intera forma si ottengono con le azioni a spirale della tecnica di avvolgimento”.
La distanza fra le mani corrisponde alla lunghezza di un avambraccio medio, perché si immagina che la destra devi leggermente il pugno destro dell’avversario indirizzato al petto, spostandogli il polso dalla linea centrale. Collocata davanti allo sterno, la mano è rivolta al naso dell’avversario, poiché bisogna ricordare che in tutti i movimenti “il dito medio guida la forza” (zhong zhi ling jin 中指领劲). Questa regola favorisce l’uso delle energie principali del tai ji quan; prima fra tutte e a tutte sottostante, peng
掤, un vocabolo tecnico che si può tradurre adeguatamente con “resilienza”.
Quanto alla mano sinistra, viene posata nell’incavo del gomito avversario. Anche questo movimento contiene peng, impedendo che l’aggressore faccia seguire velocemente al pugno un colpo di gomito, tattica usata dagli esperti di arti marziali cinesi.
Pagina del libro Chen shi tai ji quan shi yong quan fa di Hong Jun Sheng
A questo punto, la prima scelta del praticante di tai ji sarà strattonare in diagonale di lato il braccio dell’attaccante, usando l’energia lü 捋 (“tirare indietro”).
Se però l’altro riesce a percepire la lieve deviazione del proprio braccio prima dello strappo, ha due possibili reazioni: ritrarre l’arto per evitare di essere strattonato, e allora il praticante di tai ji lo asseconda (in gergo si dice “seguire”: sui 随), spingendogli il braccio in giù e poi indietro tramite la mano sinistra che applica l’energia ji 挤 (“premere”) in modalità wai chan sul suo incavo del gomito e la destra che applica l’energia an 按 (“schiacciare”) in li chan sul suo avambraccio (foto 2); come alternativa, le due mani possono agire anche sul busto altrui. Mentre si effettua la spinta, il peso viene spostato leggermente più avanti sulla gamba sinistra nella “posizione dell’arco” (gong bu 弓步).
L’altra possibilità è che l’aggressore si allunghi ulteriormente, per concatenare il pugno e la gomitata non riusciti con un urto (kao 靠) di spalla; è lui, ora a “seguire” lo strattone per compiere un attacco. In tal caso, assecondarlo significa proseguire la trazione indietro e di lato.
Se però l’avversario è tanto abile da attuare un kao efficace, occorrerà trasformare lü nell’energia cai 采 (“cogliere”), che oltre a tirarlo indietro lo solleva un poco sradicandolo. A questo punto, una volta sbilanciato e quindi indebolito l’avversario, è possibile anche invertire la direzione del movimento e concludere con la tecnica succitata: abbassargli il braccio e spingerlo indietro (foto 3).
Tutto il processo è accompagnato ovviamente dalle posizioni delle gambe, poiché il moto del corpo è globale e integrato in tutte le sue componenti: quando si devia di lato il braccio avversario, i piedi ruotano sul posto, il destro sul tallone e il sinistro sulla punta. Se entrambi ruotassero sul tallone o sulla punta, si commetterebbe l’“errore del doppio peso” (shuang zhong zhi bing 雙重之病) tanto aborrito dal tai ji quan, risultando in un deficit di stabilità. Tanto che una delle delucidazioni scritte più classiche del metodo, il “Trattato di pugilato della suprema polarità” (Tai ji quan lun 太極拳論) attribuito a Wang Zong Yue 王宗嶽, spiega: “Si vede spesso che dopo molti anni di pratica, non si riesce a effettuare mutamenti dei movimenti, sicuramente per tutti vale il fatto che non hanno capito né udito l’errore del doppio peso” (“Mei jian shu nian chun gong, bu neng yun hua zhe, shuai jie zi wei ren zhi, shuang zhong zhi bing wei wu er 每見數年純功, 不能運化者, 率皆自為人制, 雙重之病未悟耳”).
Poi la mano destra afferra il polso dell’avversario effettuando una torsione cai, mentre il lato ulnare dell’avambraccio sinistro va a contatto col suo gomito e le dita della mano puntano in avanti al suo sterno (foto 4). Ciò significa che qui la mano destra compie wai chan e la sinistra li chan.
Quando si strattonerà l’avversario indietro, è importante che quest’ultimo braccio continui a riservare un poco di energia in avanti. Anche questo è peng; ed è pure un fatto di intenzione, l’imprescindibile guida, come illustra Huang: “Yi li xiang sui 意力相隨” – “Intenzione e forza si seguono l’un l’altra”.
Poco prima della trazione, il piede sinistro scivola avanti in pu bu 扑步 (“posizione allungata”), col peso ripartito al sessanta per cento sulla gamba destra dietro e al quaranta su quella davanti. Ma a differenza della classica sequenza dello stile Chen, nel metodo Hong si preferisce non alzare il piede prima di scendere in pu bu (“posizione allungata”), proprio per mantenere quella capacità di penetrazione in avanti e non rischiare di essere spinti indietro. Il piede sinistro viene quindi strisciato in un modo che consente la stabilità (wen 稳) maggiore: tang ni bu 淌泥步, ovvero “passo strisciato nel fango”, perché è come se la gamba venisse spinta attraverso l’acqua melmosa. Analogamente, per evitare di essere sbilanciati indietro, il busto è in diagonale, non troppo di profilo.
Il mastro Huang Tai Ji in pu bu
Poiché in questa pu bu i piedi sono su due linee più o meno alla larghezza delle anche, un allievo chiede al maestro Huang se non ci sia il rischio di un calcio ai genitali da parte dell’avversario. La risposta è che egli non ci riuscirebbe, a causa del controllo cui è sottoposto: gli sto tirando indietro il braccio e la mia gamba è a contatto con la sua: se la muovesse per calciare, io la premerei con la mia gamba facendo perdere all’avversario l’equilibrio.
Nel movimento successivo, quando da pu bu si passa a gong bu per spingere l’aggressore, anche le gambe e i piedi esprimono una forza a spirale, trasmessa alla coscia, al ginocchio e al piede sinistri in modo che penetri diagonale non solo in avanti, ma anche verso il basso. Infatti l’azione d’attacco è efficace se mira al centro di massa dell’avversario (nell’antica fisiologia esoterica cinese corrisponde grossomodo al dan tian 丹田, il “campo di cinabro”) proteggendo il proprio.
Pagina del libro Chen shi tai ji quan shi yong quan fa di Hong Jun Sheng
È possibile allenare tutti questi movimenti circolari delle mani ripetendoli in continuazione come pratica fondamentale (ji ben gong 基本功), allorché prendono il nome di shuang shou quan 双手圈: “cerchi con due mani”.
C’è poi un esercizio in coppia specifico per imparare l’applicazione di questa prima parte di jin gang dao dui: i due praticanti si dispongono a un angolo di novanta gradi fra loro col peso del corpo distribuito equamente sulle gambe e si afferrano le braccia appena sotto al bicipite. Uno dei due userà i movimenti visti fin’ora per sbilanciare l’altro, spingendolo alla propria sinistra o alla destra con la rotazione di una mano in li chan e l’altra in wai chan: spingendo verso sinistra, il palmo sinistro si gira un po’ in giù (wai chan), il palmo destro si gira un po’ in su (li chan).
Lo stesso movimento a spirale delle mani avviene nel resto del corpo: dal busto intero, giù fino agli arti inferiori: anche, cosce, ginocchia, caviglie, dita dei piedi.
La gamba davanti, a contatto con quella altrui, se si trova al suo interno spinge in fuori per toglierle radicamento, oppure ne spazza il piede con una “sforbiciata” (bie 别); se si trova all’esterno, può uncinare (gou 钩) il piede per strattonarlo indietro.
Entrambe queste strategie sono utili quando l’avversario irrigidisce la parte superiore del corpo (braccia e busto) per opporre resistenza. Tuttavia l’azione dev’essere breve e rapida, in modo che il peso resti per la maggior parte del tempo distribuito equamente sulle gambe, perché altrimenti il piede davanti che agisce non avrebbe forza sufficiente a spazzare un avversario ben piazzato.
L’esercizio più importante dove si allena jin gang dao dui è comunque il tui shou 推手 (“mani che spingono”), nient’altro che l’applicazione in coppia di tale sequenza, sicché i compagni di pratica alternano anche qui le forze peng, lü, ji, an. Per questo il maestro Huang spiega che meglio si fa jin gang dao dui, più bravi si è nel tui shou, che è una pratica fondamentale del tai ji quan e per cui la scuola Hong va famosa.
È come una partita a scacchi: una concatenazione di mosse reciproche nelle quali si cerca di trasformare e dissipare (hua jie 化解) le strategie altrui, finché il più abile vince. Fermo restando che l’ideale è ottenere lo scacco matto con una mossa.
Un allievo di Huang gli fa notare che alcuni praticanti dello stile Chen allenano il tui shou in posizioni lunghe e basse, rasenti terra. Il maestro spiega: “Nella sequenza a solo si può scegliere di fare pu bu in quel modo, ma nel tui shou una posizione troppo bassa impedisce di muovere bene le anche”. L’allievo chiede allora se questo vale anche per gli esperti, che muovono con padronanza il bacino. “A maggior ragione!”, è la risposta sicura, “Un praticante abile riesce a essere efficace nel tui shou anche con le gambe distese e i piedi vicini, come facevano Chen Fa Ke e Hong Jun Sheng”.
A questo punto, l’esponente di tai ji quan dovrebbe essersi liberato dell’avversario.
Supponendo tuttavia che quest’ultimo sia riuscito a inficiare le spinte e i colpi a lui diretti, jin gang dao dui prosegue: nell’esercizio applicativo più semplice, si presume che l’avversario afferri con la mano sinistra il polso sinistro del praticante di tai ji quan per evitare di subire la forza ji. Allora la mano sinistra di quest’ultimo ruota con l’onnipresente movimento a spirale verso il polso avversario, cominciando a sottoporlo a leva articolare. Nel frattempo, gong bu diventa pan bu 盘步, la “posizione piatta”: il piede sinistro avanti si apre di quarantacinque gradi, mantenendo sempre il ginocchio a piombo sull’alluce, perché questo angolo consente la posizione della gamba più forte e stabile, rispetto al piede dritto o completamente laterale. Infatti, anche in questo momento continua la pressione in avanti sull’avversario.
Quest’eversione del piede sinistro prelude all’avanzamento del destro in xu bu 虚步, infilando la gamba rispettiva tra quelle dell’avversario per minacciare di colpire il suo inguine con un calcio o una ginocchiata destri. Infatti, la posizione si chiama “vuota” (xu) perché pochissimo peso grava sul piede davanti, che dunque è lesto nell’alzarsi per attaccare (foto 5).
In xu bu, la mano destra va a dar man forte alla sinistra per approfondire la leva al polso sinistro dell’avversario (foto 6), costringendolo ad abbassarsi e rendendolo così più vulnerabile a una ginocchiata destra al viso.
Quando il ginocchio destro si alza, lo fa pure l’anca, mentre quella sinistra si abbassa leggermente, facendo sprofondare la forza jin 劲 verso terra.
La conclusione di jin gang dao dui avviene col ritorno del piede destro a terra, nella stessa xiao ma bu dell’inizio. Questo abbassamento può verificarsi con un veemente battito del piede (zhen jiao 震脚), che si comporta a sua volta come un trapano, facendo penetrare la forza luo xuan in verticale nella terra. Il maestro Huang racconta che quando Chen Fa Ke compiva questo movimento, rompeva una grossa mattonella del pavimento e ne faceva schizzare sino al tetto i pezzi.
Pressoché in contemporanea, il dorso del pugno destro si posa sulla palma sinistra tenuta verso l’alto, davanti al bassoventre. Nel metodo Hong, questa delle mani non è una percussione, perché si desidera che l’energia del polso destro, sottoposto a lieve pronazione, sia rivolta anche verso il lato destro, come per una forza kao che si espande all’esterno. Se tiro un po’ indietro la spina iliaca sinistra, quest’azione è più evidente. Ovviamente, poiché tutto il corpo si muove a spirale, questo colpo può estendersi ad avambraccio e spalla non solo destri, ma anche sinistri, grazie alla rotazione delle anche.
Pagina del libro Chen shi tai ji quan shi yong quan fa di Hong Jun Sheng
Talvolta il maestro Huang conclude la sua spiegazione di jin gang dao dui citando la descrizione preziosa della tecnica fornita sempre da Hong Jun Sheng in godibile forma poetica negli endecasillabi (mutuando il termine dalla metrica italiana) del “Canto in rima della funzione de il guardiano buddista batte nel mortaio” (Jin gang dao dui gong yong ge jue 金剛搗碓功用歌訣), che apre il “Canto in rima della funzione della prima sequenza del metodo pratico di pugilato dello stile Chen di tai ji quan” (Chen shi tai ji quan shi yong fa yi lu gong yong ge jue 陈式太极拳实用拳法一路功用歌诀):
“Battere col pestello evidenzia cambiamenti tecnici infiniti con gli esercizi fondamentali respingere, cogliere, premere, schiacciare.
I dieci cambiamenti delle posizioni a cavallo, dell’arco, piatta, vuota, avvolgere la seta diritto e al contrario come un drago fluttuante.
Il guerriero buddista batte col pestello ha in tutto sette movimenti”.
(“Dao dui zhu fa bian wu qiong, peng, cai, ji, an ji ben gong.
Ma, gong, pan, xu bu shi bian, shun ni chan si ru you long.
Jin gang dao dui gong you qi dong zuo.
搗碓著法變無窮, 掤, 采, 擠, 按基本功.
馬, 弓, 盤, 虛步十變, 順逆纏絲如游龍.
金剛搗碓共有七個動作”).
La natura del tai ji quan emerge proprio dall’ispirazione a quel drago fluttuante (you long 游龍), finché non si giungerà a un livello dell’arte così alto, che le singole tecniche (lü, ji, an, cai ecc.) scompariranno, lasciando solo mosse invisibili dai risultati esorbitanti.
Pubblicato sulla rivista Samurai dell’ottobre 2010
Per gentile concessione dell’autore
Copyright © Wang Yugyal
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