sabato 27 giugno 2015

Ospiti di Confucio

Un giovane si presenta dal maestro Huang per fare una lezione di arti marziali. Un conoscente del maestro individua l'uomo come allievo di un altro istruttore e, per fargli capire che lo sa, gli chiede: “Il tuo maestro è partito per le vacanze?”, essendo tardo giugno. L'interrogato risponde affermativamente, e a quel punto anche Huang l'ha sentito. Lungi dal cambiare il suo atteggiamento caloroso e accogliente, egli si prodiga anzi in una lode entusiasta dell'insegnante del giovane: “Molto bravo!”.
Il giovane conferma deciso: “Sì, è molto bravo!”. Da come si muove, è chiaramente un principiante nelle arti marziali, dunque il suo giudizio non può dipendere dalla sua perizia. Neppure sa pronunciare correttamente il nome del suo insegnante. Ignorando la sapienza di Cicerone quando osservava “Et iudicare difficile est sane nisi expertum” (Marco Tullio Cicerone, Laelius de amicitia, XVII, 62), egli manca di consapevolezza e così transige a uno dei comandamenti più importanti delle arti marziali cinesi: l'umiltà (qian xu 谦虚).

Busto di Cicerone

Dopo che il conoscente resta solo col maestro, gli chiede: “Perché gli ha detto che il suo insegnante è bravo? Tutti i cinesi che hanno una minima idea dell'arte marziale ci dicono il contrario”. Poi precisa: “Nella tradizione a cui sono abituato, un allievo deve chiedere il permesso al suo mentore anche solo per visitare un'altra scuola di arti marziali. Ancora peggio, conosco più di un praticante [asiatico, ndr] incivile di arti marziali che sfiderebbe a combattere il trasgressore, per il suo atto giudicato scorretto".

Jean-Léon Gérôme, Pollice verso (1872)

Il maestro scuote la testa con aria riflessiva e un po' disapprovante: “Non è affatto bene ragionare così. Se avessi detto a quel giovane che il suo maestro non è bravo, lui si sarebbe intristito o arrabbiato, e così avremmo minato l'opportunità di diventare amici, fomentando invece l'avversione (chou ). La coltivazione dell'armonia e dell'amicizia fra le persone è importantissima. Anch'io so di individui che si sentono bravi a combattere e sfidano altre scuole, ma a furia di agire così, chi vorrà essere loro amico? Questi discorsi pacifici li facevano già Chen Fa Ke 陈发科 (vedi il post http://accademiataiji.blogspot.it/2014/12/impermeabili-allantagonismo.html) e Hong Jun Sheng 洪均生. Tanti allievi di quest'ultimo gli riferivano giudizi poco lusinghieri su altri praticanti di tai ji quan, ma Hong sempre li redarguiva per la loro scortesia.
“Fra intimi il discorso cambia. È chiaro che non mi faccio problemi a dir una verità spiacevole ai miei shi di 师弟 (“fratello minore” sotto lo stesso insegnante, cioè un compagno di pratica arrivato dopo di sé nella scuola), quando voglio correggergli tecniche errate; e loro dovrebbero essere lieti di ascoltare le mie critiche, perché costruttive”.
Difatti la psicologia e la pedagogia insegnano quello che un buon genitore sa: un'educazione troppo permissiva è dannosa per i bambini. E nel gergo delle arti marziali cinesi il maestro è detto shi fu 师父: “insegnante e padre”.
Il conoscente di Huang lo ringrazia per la lezione di umanità impartita; che comunque è un ragionamento tipico del cinese mediamente civile, perché deriva dall'inveterato confucianesimo che è alla base della loro forma mentis (xin tai 心态); tuttavia è raro sentirlo nel mondo delle arti marziali, perché in esso tutti, cinesi come occidentali, parlano male di tutti.


Qualcuno può farsi infine un'altra domanda, che viene girata al maestro: “Però sorge un dubbio etico: in quel modo non sono sincero, quindi trasgredisco l'altro precetto confuciano dell'onestà (cheng )”.
È una questione di priorità: per l'etica confuciana un diktat apicale è l'evitamento del conflitto, pressoché con qualunque mezzo, anche lo stratagemma, fino all'ipocrisia.
Del resto, lo stesso Cicerone dichiarava: “Quanta autem vis amicitiae sit, ex hoc intellegi maxime potest, quod ex infinita societate generis humani, quam conciliavit ipsa natura, ita contracta res est et adducta in angustum, ut omnis caritas aut inter duos aut inter paucos iungeretur” (Marco Tullio Cicerone, op. cit., V, 20).

Il maestro Huang ha scritto sul terriccio del luogo d'allenamento il carattere cinese chou : “inimicizia”, perché gli allievi si fissino bene in mente di aborrirla. Il suolo ricorda il pelo di un cinghiale, la cui carica infuriata si ha ogni volontà di evitare

Nessun commento:

Posta un commento