mercoledì 11 dicembre 2013

Ricette cinesi per l'inverno

Quando si cena col maestro Huang, è spesso prodigo di consigli dietetici; questa volta ci fa bere un tè con fiori di crisantemo e Sterculia lychnophora (pang da hai 胖大海).
Siamo nella stagione fredda, e per affrontare meglio i rigori invernali, si può consumare la seguente bevanda: mettere in acqua zenzero e bacche di Lycium barbarum (gou qi 枸杞), portare a ebollizione, poi aggiungere zucchero di canna. Va bevuta la mattina ed evitata la sera. Invece a cena fa bene radicchio con zucchero e magari aceto.
Prima di assumere queste sostanze, è comunque saggio consultare il proprio medico curante, soprattutto se non si gode di ottima salute (per esempio la Sterculia lychnophora può avere un effetto lassativo e, in ampie dosi, sovraccaricare i reni).

sabato 26 ottobre 2013

Orari per il sonno

Durante una lezione teorica sul rapporto fra salute e cicli temporali, il maestro Huang ha spiegato che la sera bisogna andare a dormire tra le 21 e le 23, cioè nell'arco di tempo che nell'antico pensiero cinese corrisponde ad Hai 亥, il "Dodicesimo Ramo Terrestre". Andare a letto dopo le 23 non è salutare.

Sempre peng

Un allievo del maestro Huang sta eseguendo la tecnica Tui bu shuang zhen jiao 退步双震脚 ("Scuotere i due piedi arretrando"), e per un attimo sbaglia la posizione della mano, di un paio di centimetri soltanto. Eppure il maestro se ne accorge e subito lo corregge: "La mano deve avere sempre peng 掤!".
L'energia peng è come quella di una palla di gomma gonfia. Quei due centimetri scarsi soltanto di errore dell'allievo inficiano peng, come uno sgonfiamento di due centimetri inficerebbe la capacità di rimbalzare della palla.
Peng è una delle otto energie fondamentali, le cosiddette "Otto porte" (Ba men 八门: peng 掤, lu 履, ji 擠, an 按, cai 採, lie 列, zhou 肘, kao 靠) del tai ji quan, la più importante, tanto che soggiace a tutte le altre e a tutto il tai ji quan stesso; tanto che per il maestro Hong Jun Sheng il tai ji quan è peng.
Lo scrissero chiaramente Sheng Jia Zhen 沈家桢 e Gu Liu Xin 顾留馨 nel libro Chen shi tai ji quan 陈氏太极拳 ("Lo stile Chen del pugilato della suprema polarità"), stampato nel 1963 e che rappresenta gli insegnamenti tardi del maestro Chen Fa Ke: "Anche se queste otto forze hanno nomi diversi, in realtà c'è solo l'unica forza peng, le altre sono parole diverse per la stessa cosa".
Per questo il maestro Huang ci tiene tanto che peng sia sempre presente, confermando ancora una volta la sua modalità d'insegnamento che ha fatto intitolare un articolo su di lui "Il maestro della precisione" (riportato in questo blog in data 26 settembre 2013: http://accademiataiji.blogspot.it/2013/09/un-articolo-sul-maestro-huang.html).

venerdì 11 ottobre 2013

Corsi a Milano e Torino

Il maestro Huang Tai Ji ha iniziato un corso di tai ji quan a Milano, presso il Club Ling, Via Luigi Cagnola, 9 (tel. 0289055860), il martedì e venerdì sera e il sabato pomeriggio.
La palestra prende il nome da Pehr Henrik Ling, ideatore della "ginnastica svedese" (it.wikipedia.org/wiki/Pehr_Henrik_Ling), e ci sembra un titolo di buon auspicio perché in cinese ling 灵 significa anche "agile".
Continuano inoltre i corsi a Torino, alla Scuola "Alberto Sabin", C.so Vercelli, 157, tel. 011-4270201.

giovedì 26 settembre 2013

Rilassamento iniziale

Prima d'iniziare qualunque esercizio di tai ji quan, soprattutto le sequenze di movimenti, quando ci si trova ancora nella posizione di partenza (Yu bei shi 預備势) sarebbe bene porsi in uno stato psico-fisico di rilassamento e tranquillità. Il maestro Huang esprime questo suggerimento con due frasi: “Mente in pace ed energia tranquilla” (“Ping xin jing qi 平心靜氣”; i quattro caratteri hanno il significato generale “calmarsi”) e “Rilassare tutto il corpo” (“Zhou shen fang song 週身放鬆”).

R.I.P. maestro He Shu Gan

Il maestro He Shu Gan 何淑淦 ha lasciato il "mondo della polvere" a Jinan, provincia dello Shandong, il 3 luglio 2013.
Era nato nel marzo del 1933 a Dingtao 定陶, sempre nello Shandong, e divenne professore dell'Università Normale di Heze (Heze Xue Yuan 菏泽学院), città dove risiedeva.
Probabilmente He fu la prima persona a diventare allievo del maestro Hong Jun Sheng, nel 1950. Poi, quando due anni dopo si recò a Pechino per gli studi universitari, Hong gli scrisse una lettera di presentazione nella quale chiedeva al proprio maestro Chen Fa Ke di accettare He come allievo.
A Pechino, He Shu Gan fu anche testimone degli allenamenti che per quattro mesi del 1956 videro impegnati Hong e Chen nel bellissimo parco Taoranting 陶然亭 (Padiglione della Gioia e della Spensieratezza). Un'esperienza preziosa che He descrisse così, nell'introduzione al libro di Hong "Metodo pratico dello stile Chen di pugilato della suprema polarità": "Ebbi l'onore di accompaganre il maestro alle sue lezioni private col gran maestro Chen Fa Ke. Ancora oggi mi appaiono vividamente davanti agli occhi scene del suo apprendimento. Ogni volta che Hong chiedeva a Chen se poteva usare una tecnica in un certo modo, la risposta era sempre: 'Sì!'. Quando Hong tornò a Jinan, allenò quegli aspetti particolari discussi col gran maestro Chen Fa Ke e poi ne trasmise le conoscenze ai suoi allievi e a praticanti di arti marziali come lui".
Il modo in cui He Shu Gan praticava il tai ji quan era simile a quello del maestro Huang Tai Ji.
Lo si può vedere in un video a questo indirizzo: http://v.youku.com/v_show/id_XNTAyODE1MjYw.html.
Qui, invece, una foto del maestro He con Hong Jun Sheng:

Un articolo sul maestro Huang

Tai ji quan
Il maestro della precisione
Huang Tai Ji diffonde in Italia il metodo Hong
di Wang Yugyal

“Non si muove foglia che Dio non voglia”, dice giustamente la saggezza popolare. Il mio incontro con Huang Tai Ji 黄太极 sembrerebbe proprio avvenire sotto gli auspici del Cielo. Un Cielo che in Italia e nel mondo viene sempre più chiamato Tian 天, ovvero il vocabolo equivalente cinese, perché sempre di più sono i fuoriusciti dall’ex Celeste Impero che scelgono come meta del loro lavoro paesi esteri.
Grazie a essi, si arricchisce pure il panorama e l’offerta degli insegnanti madrelingua di arti marziali cinesi, popolarmente dette gong fu 功夫.
Il signor Huang Tai Ji non è un emigrante improvvisato, potendo vantare niente meno che il titolo di vicepresidente della Zhong Guo Hong shi tai ji quan yan jiu zong hui 中国洪式太极拳研究总会 (Associazione generale cinese di ricerca sul metodo Hong del pugilato della suprema polarità), che ha sede nella provincia dello Shandong.
Qui arrivò nel 1944 il grande maestro che ha tanto arricchito il mondo del tai ji,e al cui lignaggio appartiene Huang: Hong Jun Sheng 洪均生 (1907-1996). Usciva da quindici anni di apprendimento a Pechino con il celeberrimo rappresentante dello stile della famiglia Chen: Chen Fa Ke 陈发科 (1887-1957), e secondo l’allievo di entrambi He Shu Gan 何淑淦 (1933-)*, alla fine il loro modo di praticare il tai ji quan era identico.
Sempre dallo Shandong è partito due anni fa Huang Tai Ji, proprio con la missione di diffondere il suo stile in Italia e farlo conoscere gli italiani; “in primo luogo come metodo per la salute, in secondo per l’autodifesa”, precisa.
Il suo maestro (in cinese shi fu 师父) e suo concittadino di Zibo 淄博, Li Bao Ting 李宝廷, gli aveva infatti assegnato la presidenza della branca italiana di suddetta associazione. Da allora, Huang fa il giornalista in Italia, ma ogni giorno continua a dedicare ore alla pratica: almeno dieci ripetizioni della prima sequenza (yi lu 一路) dello stile Chen e altrettante della seconda, la cosiddetta pao chui 炮捶 (pugno cannone); due forme lunghe, cui, non bastasse, si aggiungono i vari esercizi liberi, assolutamente necessari per sviluppare pienamente l’efficacia scientifica contenuta nel metodo Hong; lo stesso pretende, ovviamente, da un allievo.
Così Huang non stai mai fermo: viaggia in treno e condiziona le mani servendosi dei finestrini e delle maniglie; chiacchiera con la gente e intanto flette le dita sensibili come antenne d’insetto, fa volteggiare le braccia flessuose come una brezza marina…
Da questi esercizi si parte per conoscere, sperimentare e acquisire abilità di alto livello al cuore del Chen, prima fra tutte il chan si jin 缠丝劲 (“forza coordinata dell’avvolgimento della seta”).
Hong Jun Sheng aveva infatti capito bene che il segreto dello stile è il movimento a spirale, in cinese luo xuan 螺旋, da osservarsi nella natura. È questo uno dei termini che Huang Tai Ji pronuncia più spesso, portando come esempio della sua didattica attenta il duplice moto rotatorio della terra, intorno al proprio asse e intorno al sole. Poi, per illustrare lo stesso concetto, coglie un ramo da terra e lo punta contro un albero, facendo notare come una vite penetrerebbe più facilmente di un chiodo nel legno del tronco; pensate infine al movimento di torsione con cui si strizza un asciugamano bagnato.
Quando insegna, il maestro Huang è precisissimo, e la cosa gli sembra del tutto normale e doverosa, ricordando costantemente il proverbio “Cha zhi hao li, miu yi qian li 差之毫厘, 谬以千里”: “Un errore minimo all’inizio causa una grande divergenza a lungo andare”.
È una fortuna che non sia ancora abituato ai compromessi richiesti dagli allievi occidentali: per mezz’ora tiene in piedi il suo giovane connazionale fintanto che gli spiega accuratamente i principi della postura, toccandolo in continuazione nei punti anatomici da correggere e facendogli sperimentare personalmente le variazioni nell’assetto corporeo.
Solo dopo introdurrà l’allievo al primo esercizio di base (ji ben gong 基本功), l’imprescindibile zheng shou quan 正手圈 (“cerchi dritti con la mano”), con le torsioni della mano verso l’interno e verso l’esterno (wai chan 外缠 e li chan 里缠) che troveremo onnipresenti nel metodo Hong.
Si tratta di posizionarsi coi piedi paralleli a una larghezza maggiore delle spalle e le ginocchia flesse (la cosiddetta “posizione a cavallo”, ma bu 马步), eseguendo cerchi con l’arto superiore che allontanano e avvicinano il gomito al costato. Segue la rotazione del braccio in senso opposto (fan shou quan 反手圈), verso l’ombelico, e poi i giri con due mani. Il tai ji quan è infatti l’arte della sfericità applicata alle articolazioni del corpo, in un movimento uniforme e integrato della massima ergonomia.
Ripetendo centinaia di volte al giorno questi esercizi, che è il modo in cui bisogna allenarsi nel gong fu, non sembrerà poi così difficile la chan si jin, essenza di quella sfericità pluridimensionale.
“Allora si riuscirà a usare la forza dell’avversario contro di lui: quando egli attacca, attacca se stesso. Pur essendo questo un fine comune delle arti marziali, nello stile Hong giunge a un livello superiore. È come scagliare un sasso contro una ruota in movimento: rimbalza. Perché, al contrario, il praticante della nostra scuola cerca sempre di esercitare la forza in avanti”.
Facendo seguire alle parole i fatti, anche quando mostra le tecniche delle sequenze, il maestro Huang non manca mai di illustrarne l’applicazione effettiva, servendosi del contatto con l’allievo e con profusione di leve; poi tocca le sue parti più coinvolte nell’azione, per sentirne il movimento di muscoli, tendini, legamenti e accertarsi che sia corretto fin nel profondo.
Così insegna un vero maestro di gong fu che vuole insegnare veramente. Infatti, nel sistema Hong ogni atto ha il suo significato che emerge palese, ha la sua misura esatta, scrupolosamente razionalizzata secondo il criterio dell’efficacia e secondo il ruolo più consono alla singola parte del corpo: i calci non sono troppo alti, mentre l’ampiezza dei movimenti con gli arti superiori va dagli occhi al basso addome; il braccio non si stende del tutto, bensì i gomiti rimangono vicino al costato (secondo lo stesso Hong Jun Sheng, già Chen Fa Ke raccomandava “Zhou bu li lei 肘不离?”: "I gomiti non lasciano le costole"). La mano sinistra si occupa della parte sinistra del corpo, e viceversa, controllando l’arto reciproco dell’avversario; lo diceva sempre Chen Fa Ke: “Zuo shou lai, zuo shou ying; you shou lai, you shou ying 左手来, 左手迎; 右手来, 右手迎”. Addirittura la spina iliaca (yao dang 腰裆) riveste grande importanza, alternando rilassamento e pressione per contribuire a gestire la forza globale (jin 劲) del corpo.
Esattamente queste peculiarità convinsero Huang Tai Ji. Aveva studiato anche il vecchio stile Chen di tai ji quan, il cosiddetto lao jia 老架 (“struttura antica”) attribuito a Chen Chang Xing 陳長興 (1771-1853), ma fu nella palestra di Li Bao Ting che si appassionò al sottostile Hong: “Cercavo un maestro, e per qualche tempo ne seguii uno che si dedicava a un sistema di percussione della pancia; sentivo quella pratica benefica per il mio corpo, ma non ero ancora soddisfatto. Quando trovai la palestra di Li Bao Ting, fui sommamente attratto dalla spiccata praticità del metodo Hong, che in breve mi conferì un benessere fisico e una capacità di padroneggiare la forza (li 力) e la sua espressione (fa li 发力) maggiori che nel lao jia”.
In effetti, la praticità è caratteristica tanto distintiva del sottostile Hong, da entrare nel suo nome originario: “metodo pratico di pugilato della suprema polarità dello stile Chen” (Chen shi tai ji quan shi yong quan fa 陈式太极拳实用拳法). Da qui i risultati ottimi, e più rapidi della media, consentiti dai suoi esercizi, che non nascondono le intelligenti applicazioni marziali e dunque hanno creato molti esperti distintisi nel tui shou 推手 (“mani che spingono”), la pratica in coppia con cui si mettono alla prova e si raffinano le tecniche del tai ji.
Qui, del resto, esprimeva il suo massimo potenziale lo stesso Hong Jun Sheng: “Ancora il giorno del suo ottantesimo compleanno”, racconta Huang Tai Ji, “shi fu Hong era seduto, e quando uno dei suoi allievi lo toccò per aiutarlo ad alzarsi, al maestro partì spontaneamente una spinta poderosa che sfruttava il movimento luo xuan e lo scagliò indietro con un’azione minima del polso”.
“A questo stato”, continua a spiegare Huang, “si giunge mantenendo una concentrazione molto elevata sia nel tui shou, sia nello svolgimento delle sequenze, pur preservando lo spirito calmo e il corpo rilassato, memori del fatto che la flessibilità vince la rigidità (yi rou ke gang 以柔克刚). Per prima cosa bisogna eliminare dalla mente tutti i pensieri accessori, e ci aiuta una respirazione profonda; poi focalizzare il pensiero sull’atto che si compie in quel momento, sempre tenendo conto dell’ipotetico avversario. Il maestro Hong riusciva perfino a completare la sequenza yi lu senza mai incorrere nel riflesso di ammiccamento”.
Per la precisione, viene citato un detto del gong fu: “Quando c’è l’altro, è come se non ci fosse; quando non c’è l’altro, è come se ci fosse (“You ren si wu ren, wu ren si you ren 有人似无人, 无人似有人”).
Sembra che Huang Tai Ji abbia assorbito non solo gli insegnamenti, ma anche la passione dei suoi diretti predecessori e in particolare del suo maestro, che dal 2000 si è dedicato esclusivamente al tai ji. Lasciata la carriera politica di funzionario dello Shandong e dopo un breve intermezzo nel commercio, Li Bao Ting diventa insegnante di arti marziali a tempo pieno, cosa tuttora non molto comune né facile in Cina.
In tal modo, testimonia Huang, l’abilità di shi fu Li è cresciuta molto, tanto che oggi riesce a padroneggiare una tecnica difficilissima: nel linguaggio aulico ed evocativo cinese, si chiama ge shan da hu 隔山打虎 (“saltare la montagna, colpire la tigre”), e consiste appunto nella capacità di trasferire la forza attraverso degli oggetti lasciandoli indenni, per colpire un oggetto più lontano; per esempio può trattarsi di una fila di persone in contatto o di una pila di mattoni.
In più, la scuola di Li Bao Ting gode della supervisione preziosa dell’ultraottantenne Meng Xian Bin 孟宪宾, il discepolo che aiutava Hong Jun Sheng a gestire le lezioni negli ultimi anni di vita del grande maestro, instaurando un rapporto affezionato con Li e non lesinando consigli.
È questa la trasmissione ereditaria giunta a Huang Tai Ji, un figlio della Cina tradizionale che la Via della Seta ha portato agli italici lidi e che, usando metafore avvincenti, è disposto a insegnare i segreti levantini per rendere un corpo umano morbido proprio come fibre seriche e forte come fili d’acciaio. “Yi rou ke gang”.
Nota * Il maestro He Shu Gan ha lasciato il "mondo della polvere" il 3 luglio 2013.
Pubblicato sulla rivista Samurai dell'ottobre 2008
Per gentile concessione dell’autore
Copyright © Wang Yugyal

sabato 7 settembre 2013

Sfruttare la forza avversaria

Molte tecniche di tai ji quan utilizzano la forza dell'avversario. Per imparare a farlo, ci sono esercizi specifici, che nella scuola del maestro Huang vengono allenati costantemente.
Osservando il suo maestro Chen Fa Ke 陳發科 compiere questi esercizi coi suoi allievi, Hong Jun Sheng vide che riusciva a scagliare più lontano quelli avanzati rispetto a quelli principianti. Perché? Perché i primi sapevano spingere con molta più forza (una forza coordinata di tutto il corpo) dei secondi, e quindi Chen poteva sfruttarla di più.
Anche al maestro Huang è successo e succede.
Il maestro Chen Fa Ke col suo allievo Lei Mu Ni 雷慕尼

http://www.youtube.com/watch?v=CyAFhNzg-lU
(applicazione del maestro Huang Tai Ji)

http://www.youtube.com/watch?v=aCnjRM9r4yU
(applicazioni di Li Bao Ting 李宝廷, il maestro di Huang Tai Ji)

Il qi del gallo

Come dice il nome, nelle tecniche Jin ji du li 金鸡独立 ("Il gallo d'oro su una gamba sola") si sta in equilibrio su un piede. La gamba poggiata a terra dev'essere ben flessa e il peso del corpo lasciato sprofondare verso terra, affinché "Qi wang xia chen 气往下沈" ("L'energia vitale scenda in basso"), spiega il maestro Huang.
Questa discesa è un fattore molto importante per uno scorrimento ottimale del qi 气 che, secondo le teorie tradizionali cinesi, influenzerà positivamente il corpo del praticante.
Per i cinesi il gallo è un simbolo del coraggio

Educazione morale e rinascita culturale

"Negli ultimi cento anni", spiega il maestro Huang, "la Cina ha trascurato e perfino rigettato la sua preziosa cultura ancestrale, dando luogo a una progressiva decadenza morale. Ora, però, gli ultimi capi politici, come Xi Jin Ping 习近平, se ne sono accorti, e stanno rivalutando tali idee tradizionali. La gente comune ha bisogno di essere educata su ciò che è bene e male, e l'antica cultura cinese può farlo in modo esauriente. Per questo ci tengo tanto a insegnarla sia ai miei connazionali, sia agli italiani".

Tranquilla tolleranza

Oggi Papa Francesco ha indetto una giornata di preghiera per la pace, rivolta alla situazione bellica in Siria.
Quello dell'armonia fra la gente è un tema che sta molto a cuore al maestro Huang, il quale sostiene: "La nostra Terra è così piccola, se paragonata all'immensità dell'universo, da sembrare messa a rischio dai conflitti tra gli uomini. Se si scontrano due pugni da dieci chili, si feriscono entrambi. Invece, il praticante di tai ji quan non ricerca lo scontro, ma la pace e la tranquillità, favorita da una buona circolazione dell''energia vitale' (qi 气) nel corpo. Più il livello del praticante è alto, più egli è tranquillo e pacifico. Oggi, in Cina, molti esercitano il tai ji quan con questo scopo. Per ottenerlo, il nostro cuore deve 'abbracciare' tutti [il maestro usa il termine cinese bao rong 包容, col senso di "contenere", benché il suo primo significato sia "perdonare"] ed essere tollerante (kuan rong 宽容), come il mare che accoglie qualunque acqua. Questo anelito è comune alla maggior parte dei cinesi, fa parte della loro cultura tradizionale (chuan tong wen hua 传统文化). Questa cultura riconosce la legge naturale della retribuzione (bao ying 报应), per cui ciò che fai ti ritorna, come una sorta di risposta e reazione (gan ying 感应). Per esempio, una mia amica ha da anni un atteggiamento mentale di negatività, iper-criticismo e aggressiva frustrazione. Ora ha contratto una malattia, che potrebbe essere favorita da questo approccio al mondo, che io continuo a suggerirle di cambiare".
Il maestro conclude con la frase cinese "Ren xin hao, huan jing hao 人心好, 环境好": "Se il cuore delle persone è buono, anche l'ambiente è positivo".

lunedì 2 settembre 2013

Radicamento e piedi

Man mano che il suo livello cresce, il praticante di tai ji quan impara a usare il proprio corpo in modo più completo e sinergico.
A un certo punto, dovrà occuparsi di come usare bene i piedi per aumentare la capacità di radicamento nelle sue posizioni, che è una delle abilità più difficili da acquisire nelle arti marziali (molti loro praticanti si allenano per anni, anche riuscendo a fare posizioni basse, senza ottenerla).
Il maestro Huang spiega che un praticante di una certa esperienza usa anche le dita dei piedi premendole a terra con un movimento a spirale, il che migliora il suo radicamento.

giovedì 29 agosto 2013

Rapporti scolastici

Un ragazzo cinese allievo del maestro Huang gli ha regalato del cibo che sua madre ha portato dalla Cina. Come d'abitudine, il maestro ha voluto condividere le golosità coi suoi allievi presenti (due lingue d'anatra - ya she 鸭舌 - sono anche finite nello stomaco di Joe, una cagnolona che passava di ben quindici anni, equivalenti a oltre novanta se fosse un essere umano).
Questi due fatti costituiscono un buon esempio dei comportamenti e dei rapporti che si dovrebbero instaurare in una scuola genuina di arti marziali cinesi.
(lingue d'anitra, prelibatezza cinese)

Il corpo non mente

La personalità di un uomo è così complessa, che anche i luminari delle scienze psichiche faticano a giudicarla.
Tuttavia il corpo non mente. La reazione che una persona attua quando viene afferrata e/o spinta con forza, anche solo durante un esercizio di arti marziali, può manifestare alcune caratteristiche della sua personalità; o per lo meno del modo, di solito suboconscio nell'individuo comune, che essa ha di rapportarsi con gli altri e con l'ambiente in generale.
Per esempio c'è chi, sottoposto a quelle prese e quelle spinte, reagisce in modo eccessivamente difensivo, rispetto alla situazione controllata dell'allenamento. Dovrà invece apprendere a mantenere un certo rilassamento psico-fisico anche sotto minaccia d'attacco (chiunque combatta, sa che non è possibile farlo efficacemente senza questa attitudine).
In molti esercizi di tai ji quan che il maestro Huang fa svolgere, ci si allena a ciò.


Rilassamento contro-intuitivo

"Yong yi bu yong li 用意不用力" ("Usare l'intenzione, non usare la forza") è una delle regole che contraddistinguono il tai ji quan, sicché il praticante è tanto più abile quanto più riesce ad attuare questa massima.
Già è difficile farlo negli esercizi a solo, tanto più quando si deve gestire un avversario che attacca con forza.
Ebbene, un ideale del tai ji quan è battere un avversario che usa la forza rimanendo il più possibile rilassati. Nell'individuo non allenato, questo è contro-intuitivo: quando bisogna contrastare qualcuno che ci spinge con forza, è pressoché automatico usare anche noi forza.
Ma una capacità dell'uomo rispetto ad altri animali è il raziocinio, per cui gli è possibile interporre la cognizione fra l'istinto (spingere con forza) e l'azione (spingere via l'avversario), in tal modo regolando il suo comportamento (spingere rimanendo il più possibile rilassati).
Per favorire questa trasformazione, in cui un automatismo viene modulato grazie al pensiero per poi mutarsi in un nuovo e più efficace automatismo, nelle lezioni del maestro Huang si dedica molto tempo ad esercizi in coppia nei quali un compagno nelle vesti dell'avversario spinge, e l'altro deve sfruttare la sua forza e vincerla, rimanendo il più possibile rilassato.
Come si riesca a farlo è tutta una questione di tecnica, la tecnica del tai ji quan.
Ancora di più: stupisce constatare che certe mosse dello stile non funzionano se attuate con certa tensione muscolare. Nelle arti marziali la progressione consiste anche nell'automatizzare comportamenti che prima non erano spontanei, ma lo sono diventati grazie all'addestramento.

martedì 27 agosto 2013

Imparare attraverso la pratica

Per imparare bene una disciplina difficile, come il tai ji quan, occorrono due fattori: un bravo maestro che sia disposto a insegnare e una pratica assidua.
La comprensione di alcuni aspetti dello stile può giungere da quest'ultima senza che il maestro spieghi. Lo espone il proverbio delle arti marziali cinesi "Quan lian qian bian / Qi yi zi xian": "Allenando il pugilato mille volte / Ci si fa un'idea da soli".
Questa frase è formulata nel linguaggio tradizionale, sicché il maestro Huang la parafrasa con una più moderna: "Qi zhong de yi si zi ji ming bai": capire da soli il significato.

Corsi a Torino

A giugno e luglio 2013 il maestro Huang ha insegnato tai ji quan all'Associazione giovanile italo-cinese (Zhong yi qing nian xie hui 中意青年协会) di Via La Salle, 17, Torino. Da settembre 2013 il corso si terrà alla Scuola "Alberto Sabin", C.so Vercelli, 157, Torino, tel. 011-4270201.

Affinità elettive

Il maestro Huang ha stretto amicizia con Sun Kai Qing, docente di scuola superiore di Cangzhou 沧州 e praticante di gong li quan 功力拳 (“pugilato per allenare la forza”).
Il Professor Sun dirige un grosso centro di servizi educativi in questa città dell’Hebei, il quale riunisce decine di associazioni culturali. Grazie al sodalizio fra Huang e Sun, è possibile invitare in Italia diversi maestri della contea di Cang, una delle zone più importanti delle arti marziali cinesi.
(praticanti di gong li quan all'inizio del '900)
(l'antico leone di Cangzhou 沧州铁狮子, qui prima del recente restauro, ben rappresenta il valore dei praticanti di arti marziali della zona)

Il maestro Hong Jun Sheng a Cangzhou nel 1978

Zucche umane

Nella scuola del maestro Huang si fa un esercizio di coppia che Meng Xian Bin chiama “Cheng hu lu jia 撑葫芦架”. Letteralmente significa “Struttura di sostegno per le zucche”. Sono graticoli che gli agricoltori cinesi costruiscono per farvi crescere appunto le zucche, pendenti da terra come i vitigni.
L’esercizio consiste nell’afferrarsi reciprocamente le braccia più o meno ai bicipiti e cercare di sbilanciarsi. Può anche essere collaborativo: un compagno effettua una spinta diretta, e l’altro cerca di deviarla e sbilanciare l’attaccante.
Cheng hu lu jia, simile all’assai più noto tui shou (“mani che spingono”), è una pratica molto utile allo sviluppo della forza a spirale e delle capacità applicative che rendono così efficace il “metodo pratico dello stile Chen di tai ji quan”.

Il maestro Zhang Lian En

Zhang Lian En 张联恩 (1952-) iniziò a studiare tai ji quan col maestro Meng Xian Bin, che poi lo introdusse a Hong Jun Sheng.
Gira voce che il famoso maestro Chen Xiao Wang 陳小旺 (1945-) si recò in visita da Hong, e in quell’occasione fu battuto da un giovane Zhang in una sfida informale di spinte.
Si dice pure che, dopo la morte del gran maestro Hong, Zhang Lian En studiò la scuola di Chenjiagou 陳家溝 dello stile, per poi coniugare le due versioni e modificare la sua forma con le tecniche più ampie (da fa 大法) che sono tipiche dell’odierno stile di Chenjiagou.
Ad alcuni esponenti famosi della scuola Hong, questa supposta modifica non piace, ma si tenga conto che bisogna essere grandi esperti per giudicare il livello di simili maestri, sicché l’umiltà è sempre una regola d’oro.
Interpellato al riguardo, il maestro Huang si limita a uno degli apprezzamenti che indicano il suo carattere solare: Zhang gli piace perché ha un comportamento allegro, e alle sue lezioni regna un’atmosfera lieta.
(Zhang Lian En col suo maestro Hong Jun Sheng)

Il maestro Tian Xiu Chen

Tra gli allievi migliori di Chen Fa Ke ci fu Tian Xiu Chen 田秀臣 (1917-1984), che si dice abbia mantenuto il suo modo di praticare vicino a quello del suo insegnante (anche se è prassi dei maestri cinesi personalizzare un po’ il proprio stile).
Il maestro Huang apprezza molto la grande bravura di Tian, e nota che la maggior parte dei suoi movimenti era molto simile a quelli di Hong Jun Sheng.
http://www.youtube.com/watch?v=maPk6w8Yei0

Cosa significa naturale?

Molti maestri cinesi usano spesso l’aggettivo “naturale” (zi ran 自然) nei loro insegnamenti. Ciò manifesta quanto siano ecologici gli ideali delle arti marziali cinesi e di molta della filosofia correlata.
Il maestro Huang sottolinea spesso che il tai ji quan segue "le leggi della natura" (zi ran gui lu 自然规律). Certe volte è più palesemente oggettivo che una situazione è naturale: il maestro Huang viaggia su un’automobile i cui finestrini si abbassano con una manovella invece che con un impulso elettrico, e se ne compiace definendola “naturale”. Non gli piacciono aria condizionata e ventilatori, neppure col clima fastidiosamente più caldo, perché non sono “naturali” ("La gente teme il caldo, ma chi pratica tai ji quan sopporta molto meglio le temperature estreme, anche perché impara a stare tranquillo", spiega il maestro). Altre volte è meno oggettivo: il maestro usa una canoa e definisce “naturale” il movimento in cui si ruota il busto nella pagaiata. Ma non è palese e intuitivo, per lo meno a chi non abbia meccaniche corporee raffinate come un esperto di tai ji quan, che per pagaiare si ruoti il busto. Allo stesso modo, il maestro Huang dice che la forma della mano nella pratica del tai ji quan dev’essere naturale, tuttavia quella davvero spontanea avrebbe le dita più arcuate perché più rilassate.
Infine, si faccia attenzione, perché il ricorso all’esortazione alla naturalezza può essere una risposta di comodo per maestri che non hanno voglia di spiegare veramente una tecnica: l’allievo gli chiede come va eseguita, e l’insegnante se la cava liquidandolo con un vago “Naturale!” che non significa nulla.
(indicazioni per il ritmo circadiano secondo l'antica cultura cinese)

Tegole di carne?

La questione della foggia che assume la mano nella pratica dello stile Chen di tai ji quan emerge quando il maestro Huang dice a un suo allievo da qualche anno che ora è per lui tempo di modificarla: ora, dice, l'allievo ha raggiunto un livello in cui può tenere la mano più rilassata che nella canonica forma "a tegola". Al maestro Huang l'ha insegnato il gran maestro Meng Xian Bin, che Huang cita costantemente. Meng gli ha anche detto che se la mano che sale lungo il corpo è tesa, "Qi xue wang shang yong 气血往上踊" ("Energia vitale e sangue balzano verso l'alto"), un decorso dannoso per la salute. Già nella scuola Hong, la "mano a tegola" è meno enfatizzata, ma spesso le dita hanno comunque una lieve tensione utile per "dirigere la forza coordinata" (in cinese ling jin 领劲). Sia Hong, sia Meng e Li Bao Ting hanno insegnato che la forma della mano dev'essere "naturale", e il maestro Huang lo esemplifica mostrando che quando si cammina, non si tengono le mani "a tegola".

mercoledì 24 luglio 2013

Tegole di carne

Nello stile Chen di tai ji quan, spesso la mano assume una foggia che ricoderebbe la tegola leggermente concava di un tetto tradizionale cinese. Per questo la si chiama "mano a tegola" (wa shou 瓦手) o "palmo a fila di tegole" (wa long zhang 瓦攏掌).
Nella foto sottostante, che ritrae il Maestro Chen Zhao Kui 陈照奎 (1928-1981), si notano le tipiche wa shou

Il maestro Chen è il secondo figlio di Chen Fa Ke, dunque appartiene alla diciottesima generazione della sua famiglia. Divenne famoso soprattutto per la diffusione della forma Xin jia 新架 ("Struttura nuova") attribuita a suo padre.